Quando Conte profetizzava: "Putin non è una minaccia"

Abbaglio dell'allora premier nel "contratto di governo" "Russia? Nessun pericolo". Poi tutti sì al Patto atlantico

Quando Conte profetizzava: "Putin non è una minaccia"

«La Russia non è una minaccia militare». Spunta anche questa sciagurata profezia, a gravare l'accidentato percorso politico di Giuseppe Conte, l'ex premier che faticosamente sta cercando di accreditarsi come l'anti-Draghi, cavalcando la fronda pacifista e «disarmista» in seno al governo italiano.

Riemerge questo abbaglio dal sapore «fantozziano», e dai motori di ricerca della Camera dei deputati riaffiora anche il passaggio parlamentare del Protocollo per l'allargamento della Nato, quello del 2019, ultimo atto di un processo che certi opinionisti oggi paragonano a un atto ostile nei confronti della Russia, ma che allora ovviamente non suscitò alcun problema - né remore, né «pianti» - anzi fu certificato come conforme alla Costituzione e qualificato come «un preciso impegno assunto dal Governo italiano».

Sembra trascorsa un'era geologica e istituzionale, ma sono passati appena 3-4 anni, il tempo che ci separa dalla nascita dal cosiddetto «governo del cambiamento», guidato proprio da Conte, allora giurista prestato alla politica (e da essa mai restituito) nella veste di «avvocato del popolo», prima incline al «sovranismo» - andò all'Assemblea Generale dell'Onu a New York a spiegare che «sono nella nostra Costituzione» - poi trasformatosi in un ultra-europeista col suo secondo governo, e in ogni caso impegnato a trescare un po' con tutti in politica internazionale, dalla Via della Seta alla rotta atlantica, guardando a Mosca, come hanno sempre fatto apertamente i 5 Stelle.

Il governo Conte I nasceva garantendo che Putin non rappresentava un pericolo. Metteva nero su bianco questa previsione fra le sue «coordinate» del capitolo Esteri. Era la fine di maggio del 2018, i leader dei due partiti contraenti (Lega e 5 Stelle) firmavano il programma di un governo che avrebbe visto la luce pochi giorni dopo, con l'incarico a quel professore che era stato «pescato» a sorpresa dal grillino Alfonso Bonafede (suo allievo) e pareva destinato a ricoprire al massimo un ruolo ministeriale. Ed eccolo quel passaggio del contratto di governo «del cambiamento»: «Non costituendo la Russia una minaccia militare, ma un potenziale partner per la Nato e per l'Ue, è nel Mediterraneo che si addensano più fattori di instabilità».

Neanche un anno dopo, lo stesso esecutivo promuoveva l'allargamento della Nato, con un disegno di legge firmato dai ministri Moavero Milanesi e dalla pentastellata Trenta. È stato l'ultimo allargamento perfezionato dal Patto Atlantico - con l'invito alla Macedonia del Nord - e fu ratificato alla Camera senza un voto contrario su quattro votazioni: tutti favorevoli, neanche un'astensione, per non parlare dei «no».

Chissà che ne pensano di questi voti, e di quella profezia, i supporter del Conte attuale, che al momento si trova in un periodo di pacifismo anti-Nato.

D'altra parte il suo principale sponsor, Marco Travaglio, nel dicembre 2020 smentiva sdegnato ogni ipotesi sull'arrivo di Draghi a Palazzo Chigi («è una simpatica barzelletta» diceva di un governo che sarebbe nato un mese dopo), mentre il 23 febbraio scorso garantiva che un'invasione russa era «una fake news americana». Il giorno dopo i carri russi entravano in Ucraina.

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