Quegli indignati da esibizione

Peccato che l'8 aprile sia già occupato da "Rom e Sinti", sennò lo si poteva istituire Giornata Nazionale dell'Indignazione

Quegli indignati da esibizione

Peccato che l'8 aprile sia già occupato da «Rom e Sinti», sennò lo si poteva istituire Giornata Nazionale dell'Indignazione. Ne abbiamo 63 di Giornate Nazionali e siccome ce n'è per tutti, giusto sarebbe che avesse quel riconoscimento anche l'indignazione, sentimento o meglio risentimento molto alla moda nella sinistra radicale e grillina. E che giustappunto l'altrieri fece fuochi d'artificio per la presenza di due pretesti concomitanti: Giovanni De Gennaro e Matteo Salvini. Appiglio il primo per una indignazione di area sentimentale-generazionale, il secondo per una indignazione di area semantica.

I fatti son noti: Matteo Orfini - e i grillini, e i vendoliani e i rifondaroli comunisti al seguito - s'è indignato perché il capo della Polizia al tempo del G8 di Genova, De Gennaro, ora è presidente di Finmeccanica. Laura Boldrini - e al seguito tutto il frignonismo rom, non ultimo il cardinal Vegliò del quale si dirà più avanti - s'è invece indignata perché Salvini dichiarò che dopo legale preavviso di sfratto i campi nomadi lui li raderebbe al suolo. Locuzione che risulterebbe - e vai a capire perché - «inquietante». Ciò che invece avrebbe fatto da miccia al risentimento, allo sdegno del presidente del Pd e giovane turco Orfini, è il fatto, parole sue, che «per la nostra generazione Genova è una ferita». Non serve aggiungere altro: il restante belìo indignato è il solito, di maniera e di luogo comune, salvo che per il cardinal Vegliò. Il quale appaia il salviniano voler smantellare i campi nomadi con quelli che dicono: «I musulmani, li ammazzerei tutti». Laddove si dimostra che nel voler primeggiare nella pratica dell'indignazione si finisce per perdere, diciamo così, la trebisonda.

L'indignazione non è come il coraggio di don Abbondio: chi vuole se la può dare, anche senza che ve ne sia motivo concreto. E tali non possono certo essere le preferenze linguistiche di Salvini («radere al suolo» equivale a «demolire» e non c'è niente di antisociale o peggio di razzista nel demolire.

Vendola non ha raso al suolo l'ecomostro di Ostuni?) o gli struggimenti giovanilisti, ai quali senz'altro appartiene la cultura del dagli allo sbirro, di Matteo Orfini. E dunque, la loro e dei loro corifei è indignazione a fusione fredda, da laboratorio. Da esibizione. Estremo rifugio - senza voler parafrasare Samuel Johnson, per carità - dei panchinari della politica.

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