Quei 50 franchi tiratori che a Montecitorio fanno tremare Renzi

Cinquanta "franchi tiratori" del Pd approfittando del voto segreto possono affossare l'Italicum

Quei 50 franchi tiratori che a Montecitorio fanno tremare Renzi

Matteo Renzi vuole l'Italicum approvato al Senato per fine anno, ma la strada verso la nuova legge elettorale si fa ogni giorno più in salita. Dall'altra metà del patto del Nazareno, quella di Forza Italia, si susseguono le voci che mettono in discussione l'accordo sulle riforme e che addirittura minacciano, come fa Renato Brunetta, di far saltare tutto e andare al voto con il proporzionale del Consultellum. E il fronte renziano alza i toni, per far capire al Cavaliere che rischia di tagliarsi fuori da tutte le partite (compresa quella cruciale del Quirinale): «Visto che Berlusconi cambia idea due volte al giorno, faremo senza di lui», avverte la vicesegretaria Debora Serracchiani. «Caro Renzi, adesso Brunetta vuole andare a votare. Perché non lo accontentiamo?», twitta Roberto Giachetti rivolto al premier.

Si è alla stretta cruciale sull'Italicum, e le insidie e le manovre contro il percorso immaginato da Renzi si moltiplicano, fuori e dentro dal Pd . Esaurite le cartucce sul Jobs Act, che in settimana passerà alla Camera con il voto contrario simbolico di pochi dissidenti ad oltranza, il fronte interno anti-renziano affila le armi sull'Italicum. La legge elettorale è ancora in commissione a Palazzo Madama, e Renzi è fermamente intenzionato a farla votare in Aula entro dicembre: «L'unica alternativa all'Italicum», ha ricordato ieri nella lettera a Repubblica , «è lo status quo proporzionalistico. Che convince chi ha in mente un disegno neocentrista che fino a qualche mese fa era sul tavolo e che noi abbiamo sparecchiato».

Da Palazzo Chigi hanno osservato con attenzione la passerella di costituzionalisti ed ex presidenti della Consulta in pensione (ma recentemente autori del colpo di mano anti-maggioritario col Consultellum) sfilata al Senato negli ultimi giorni di audizioni. «Una passerella imposta dalla minoranza Pd, che in Commissione affari costituzionali ha grande peso, per far uscire una serie «dubbi» costituzionali sull'Italicum, e cercare di impantanarlo», spiega un renziano. I dubbi sono stati assai amplificati: l'Italicum sarebbe a rischio incostituzionalità perché vale solo per la Camera, e non si può votare con due sistemi elettorali diversi per i due rami del Parlamento. Da qui la minoranza Pd ha tratto le sue conclusioni: «L'unica via di uscita - spiega il senatore bersaniano Miguel Gotor - è una clausola di salvaguardia che dica che l'Italicum entrerà in vigore solo al compimento della riforma che abolisce il Senato».

Il governo, annusata la trappola che renderebbe inapplicabile l'Italicum e incentiverebbe il rallentamento sine die della riforma del Senato, ha messo in atto la controffensiva: «Non ci sarebbe alcun problema di costituzionalità a votare con l'Italicum alla Camera e il Consultellum al Senato», è il senso del messaggio del ministro Maria Elena Boschi, supportata dagli argomenti dei tecnici Stefano Ceccanti e Roberto D'Alimonte.

Quindi, nessuna clausola di salvaguardia e nessun rallentamento dell'esame della legge elettorale, che deve passare con le modifiche concordate nella maggioranza e con Forza Italia. Al Senato si vota a scrutinio palese, e sarà più complicato per le fronde interne mettersi di traverso, anche se non mancheranno i tentativi. Alla Camera, col voto segreto, il livello di rischio si alzerà. E dentro l'urna i mal di pancia e le paure di molti si potrebbero saldare: nel Pd si calcola almeno una cinquantina di possibili franchi tiratori, che sommandosi a quelli di Forza Italia e delle forze minori spaventate dal voto potrebbero produrre inciampi.

«Vedrete che sulle preferenze di genere e sui tempi per il ridisegno dei collegi, fissati ora in soli 45 giorni, ci saranno sorprese», assicurano dalla minoranza Pd. Ma intanto occorre superare le forche caudine del Senato, e «stanare Forza Italia», come dicono dalle parti del premier.

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