Quei diktat contro Salvini e Cav. La sinistra non smette di odiare

A sinistra monta l'odio. Tra i dem il diktat è "Mai con Salvini", nel M5s il grido di battaglia è "Mai con Berlusconi". È la solita vergognosa superiorità morale di una certa classe politica

Quei diktat contro Salvini e Cav. La sinistra non smette di odiare

Va da sé che, se il governo Draghi vedrà la luce, sarà sostenuto da forze politiche profondamente diverse tra loro. È lo sforzo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiesto ai partiti: fare un passo indietro e trovare la quadra per il bene del Paese. C'è chi (è la posizione di Forza Italia e di Italia Viva) "farà la propria parte" nel sostenere il nuovo esecutivo. E c'è chi (è la posizione di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d'Italia) non vede di buon occhio un'operazione che finirebbe per tradire il dna del proprio partito e quindi, con coerenza, se ne sta alla larga. C'è, poi, chi (è la posizione della sinistra più livorosa) vuole sì essere della partita ma si permette di dispensare "patentini" di incompatibilità che ovviamente tagliano fuori la Lega di Matteo Salvini e più in generale le "forze sovraniste di destra".

È la solita superiorità morale della sinistra. Non appena Mattarella ha conferito a Mario Draghi l'incarico di formare un governo sostenuto dalla più ampia maggioranza possibile, gli ultrà del Partito democratico hanno subito alzato la voce. "Una personalità competente come Draghi merita il sostegno di una maggioranza ampia e coesa", ha subito tuonato l'ex presidente della Camera Laura Boldrini. "C'è però un confine politico invalicabile - ha sentenziato - il Partito Democratico non può governare con la destra antieuropeista e sovranista". Non è l'unica a pensarla così all'interno del suo partito. E, mentre l'ex governatore della Bce prosegue le consultazioni nel tentativo di fare sintesi tra richieste antitetiche avanzate dai partiti pronti a sostenerlo, le voci di dissenso montano trasformando il brusio di sottofondo in un urlo violento. Nei giorni scorsi Nicola Zingaretti ha fissato i "paletti" entro i quali vorrebbe che venga costruito il nuovo esecutivo. Niente di nuovo. Le solite chimere dem: l'europeismo, la green economy, la riforma del fisco con un veto inderogabile alla flat tax e la riforma della giustizi. "Tutti temi sui quali siamo in antitesi con la Lega", fanno notare dal Pd. "Un governo forte lo fai solo con un programma forte e con un'alleanza larga così divisa è complicato".

I più moderati, all'interno del Partito democratico, lasciano la palla in mano a Draghi. "Sarà lui a dover fare la sintesi e dover scegliere che tipo di esecutivo mettere in campo", dicono. "Se un governo politico, sostenuto da una maggioranza 'credibile e compatta' - è il ragionamento - o un esecutivo di tutti, con un tasso di partecipazione dei partiti ridotto ai minimi termini e un mandato 'quasi elettorale'". I duri e puri non sono, però, malleabili. E la sola ipotesi di un esecutivo allargato li spinge ad alzare i toni. Il diktat è "Mai con Salvini". Questa mattina lo hanno scandito sia Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, in una intervista alla Repubblica ("Se il programma del premier punta su ciò che serve al Paese non c'è spazio per la destra sovranista"), sia il commissario piddì in Umbria, Enrico Rossi, in un post su Facebook ("Dobbiamo fare un governo europeista e serio che non può avere al suo interno i sovranisti antieuropeisti"). Meglio riprendere a marciare con i vecchi alleati: i Cinque Stelle, su cui non più di un anno fa c'era un vero e proprio veto, e Matteo Renzi, che in più di un'occasione hanno bollato con lo stigma del "traditore".

Le posizioni degli ultrà dem ricalcano gli anatemi dei compagni di Liberi e Uguali ("Questa maggioranza è incompatibile con la presenza di forze come la Lega e le forze sovraniste della destra") e fanno apparire Luigi Di Maio più possibilista. Forse perché il capo Cinque Stelle, al governo con Salvini, c'è già stato, non sembra recalcitrante a tornare a lavorare insieme anche se crede che "si debba preservare la maggioranza che finora ha lavorato compatta e mi riferisco a M5S, Pd e Leu". Quello che proprio non gli va giù, è un governo con Silvio Berlusconi. "Ho già detto di no una volta. È agli atti", ha detto in una intervista alla Stampa. "Malgrado ciò non le nego che con alcuni esponenti di Forza Italia ho rapporti cordiali e costruttivi - aggiunge - ci sono le idee politiche ma, fortunatamente, anche i valori umani". Anche lui, come Zingaretti, deve tenere a bada gli ultrà che non vogliono sostenere Draghi e finire così a siglare un'alleanza con il centrodestra. Uno su tutti: Alessandro Di Battista. "Io non sosterrò mai un governo sostenuto da Forza Italia", tuona su Facebook definendo i fan del banchiere "un'accozzaglia". Nel dna di Dibba scorre lo stesso odio della sinistra che, anziché ragionare sui contenuti, si arroga il diritto di disporre chi può sedere al tavolo e chi va relegato nelle fogne. È così da sempre.

Ogni partito è libero di decidere se essere nella squadra di Draghi oppure chiamarsi fuori e combatterlo stando all'opposizione. Imporre chi può stare dentro e chi no è una violenza ideologica che alberga unicamente nella sinistra. Anche Salvini, che inizialmente era riottoso a tornare a dialogare con i Cinque Stelle, alla fine ha fatto cadere il proprio veto. "Chi sono io per dire 'tu no' - ha detto ai suoi ieri - noi, con Draghi, non diremo non voglio tizio".

Un'apertura che non ha certo ammorbidito le posizioni della sinistra più radicale. "Non capisco Salvini...", ha commentato la Meloni. "Il Pd va bene? La Boldrini e LeU vanno bene? Qualcosa mi sfugge".

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