Mille giorni di invasione e almeno mezzo milione di morti e feriti da tutte e due le parti, ma molti di più sul lato russo della barricata, sono il tragico bilancio della guerra in Ucraina. Per mesi ho raccontato questo devastante conflitto combattuto con un uso spropositato di armi pesanti, missili e droni. In prima linea sul fronte ucraino nei posti peggiori da Bakmut ad Avdivka, puntini sulla carta del Donbass dove i soldati erano tutti morituri, che tiravano la monetina per i primi cinque in trincea, morti o feriti. Una mattanza con riflessi pesanti sui nostro conti e a livello globale che ha provocato un braccio di ferro epocale teso a spostare l'asse geopolitico da Ovest ad Est, dal mondo libero acciaccato e fragile, ma pur sempre democratico, alle autocrazie o al partito unico cinese.
Tutti buoni motivi, a cominciare dal massacro sul campo, per dire basta. Al contrario le ultime 48 ore di massicci bombardamenti russi, mai visti prima, puntano a mettere in ginocchio il sistema elettrico e di riscaldamento ucraino in vista dell'inverno. E non vale meno il colpo di coda del presidente Joe Biden sul via libera all'utilizzo dei missili Usa in territorio russo per compensare l'orda nordcoreana di rinforzo nella regione di Kursk, dove non molla la testa di ponte ucraina. Se andiamo avanti di questo passo ha ragione Donald Trump junior, che accusa il presidente uscente di «far partire la terza guerra mondiale» prima che il funambolico padre provi a sbrogliare la matassa.
In realtà potrebbero essere gli ultimi, sanguinosi, affondi, prima di sedersi attorno a un tavolo e trovare una via d'uscita. Biden al G20 in corso lancia l'appello per schierare tutto il mondo che conta «in difesa dell'integrità territoriale ucraina». Nella stessa assise il pragmatico sultano turco, Recep Tayyip Erdogan, l'unico ad avere ottenuto qualcosa di buono nel conflitto come lo scambio di prigionieri e il passaggio del grano per il Mar Nero, presenterà un piano di pace. I punti focali sono il congelamento della linea del fronte, la sospensione per almeno dieci anni dell'ingresso dell'Ucraina nella Nato, ma forniture belliche per proteggerla e forze di pace nel Donbass che distanzino gli eserciti in lotta. Mosca ha già risposto «niet», ma la musica potrebbe cambiare con Trump. Per gli ucraini significherebbe abdicare alla pace giusta, ma un congelamento in stile 38º parallelo non è un trattato di pace firmato con il sangue e definitiva rinuncia ai territori occupati. E soprattutto chi ci ha guadagnato dagli anni cinquanta ad oggi in Corea, il Sud prospero e moderno o il Nord affamato medieval-stalinista? Risposta fin troppo semplice e per il conflitto nel cuore dell'Europa è altrettanto ovvio che l'Ucraina con la ricostruzione e il cammino verso la Ue ne uscirebbe vincente. Non a caso l'Italia, dopo il terzo anniversario dell'invasione del prossimo febbraio, vuole organizzare una grande conferenza a Roma sul rimettere in piedi il paese che ha resistito all'orso russo. Al Cremlino resterebbe solo una vittoria di Pirro.
Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ieri ha giustamente visitato le prossime prede dei russi sulla prima linea nel Donbass, per decorare i valorosi, ma
sfiniti, soldati ucraini che resistono con le unghie e con i denti. Però, pure lui, qualche giorno fa ha dichiarato: «Da parte nostra dobbiamo fare di tutto per porre fine alla guerra, l'anno prossimo, con mezzi diplomatici».
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