Quei figli di un diritto creativo

Il caso di Torino, con il bimbo registrato all'anagrafe con due mamme, mostra la debolezza di uno Stato che, se non è in grado di far osservare la propria legge o modificarla con tempestività, abdica al proprio ruolo ed alla propria autorevolezza

Quei figli di un diritto creativo

Nel momento in cui il sindaco di Torino, Chiara Appendino, ha registrato, motu proprio, all'ufficio dell'anagrafe cittadina l'atto di nascita di Niccolò Pietro quale figlio di una coppia omogenitoriale formata da due donne, la madre naturale del piccolo, Chiara Foglietta, con la compagna Micaela Ghisleni, è stato inaugurato un nuovo fronte su cui vale la pena fare qualche riflessione. Si tratta infatti di una soluzione estrema per l'Italia perché mai un primo cittadino aveva fatto questa scelta senza l'autorizzazione di un tribunale.

Nel recente passato i giudici avevano ammesso la trascrizione solo per figli di coppie omosessuali nati all'estero, applicando la norma sull'adozione in casi particolari.

In questo caso, l'audace Chiara Appendino si è presa la responsabilità di superare le norme di legge e le modulistiche dell'anagrafe che utilizzano formule ministeriali incompatibili con la registrazione di figli nati in Italia da coppie dello stesso sesso.

Ho già più volte scritto che siamo un Paese in cui, su queste tematiche, il diritto positivo vigente è stato più volte «forzato» dalla magistratura che, attraverso sentenze «creative», ha introdotto nell'alveo della legittimità situazioni che non erano previste dalla legge. Oggi abbiamo nuovi attori che entrano nell'agone e mettono in crisi la ripartizione costituzionale dei poteri: sì, perché se ci si mettono anche gli amministratori pubblici, pur lastricati di mille ragioni e buone intenzioni, siamo nel mayhem del diritto. Un caos senza precedenti dove la legge finisce sullo sfondo e il Parlamento diventa non già l'organo promotore di interventi normativi ma il curatore di norme che già sono state introdotte di «straforo».

Emblematica la dichiarazione del sindaco del capoluogo piemontese che si è dichiarata pronta a coartare la legge e così ha fatto: «Per la prima volta la città di Torino ha scritto nel suo post Chiara Appendino - si trova dinnanzi a casi inediti di nuove forme di genitorialità che richiedono del tutto legittimamente il riconoscimento di quella che per loro è una famiglia, intesa come luogo fisico ed emotivo in cui due o più persone si amano e costruiscono insieme il futuro proprio e dei propri figli». Tutto astrattamente condivisibile ma vien da chiedersi se ciò che un primo cittadino, in genere un amministratore o esponente del potere esecutivo dello Stato o degli Enti Locali, ritiene «giusto» e legittimo possa, per il solo fatto di essere da questi condiviso, diventare legge in assenza di una norma ad hoc.

Il rischio, a mio avviso, è che andando avanti di questo passo, perderemo la nostra tradizione giuridica romano-giustinianea di Stato basato sulla legge dei codici (civil law) in favore di una svolta di common law, come i Paesi anglosassoni dove il diritto viene scritto dai giudici e dai precedenti giurisprudenziali, in questo caso persino dai sindaci.

Al solito, si è finiti in un preoccupante pastrocchio che deve indurre a severe

considerazioni sulla prospettiva che ci attende e sulla debolezza di uno Stato che, se non è in grado di far osservare la propria legge o modificarla con tempestività, abdica al proprio ruolo ed alla propria autorevolezza.

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