Quei finti pauperisti sempre in guerra sui soldi

Ipocrisie grilline: dalle mancate restituzioni delle indennità al 2x1000 resuscitato

Quei finti pauperisti sempre in guerra sui soldi
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Follow the money. Una delle possibili «piste» per dipanare il mistero dell'ascesa dei Cinque Stelle è quella che porta ai soldi. Nati nel segno della povertà, il giorno di San Francesco del 2009, sono passati ben presto dalla venerazione per il Poverello di Assisi alle liti sulla cassa. In principio furono i bonifici truccati e le restituzioni non versate, ora ci si arrovella sulle conseguenze politiche del contratto che lega Beppe Grillo al partito da lui fondato. 300mila euro all'anno per occuparsi di comunicazione, la versione ufficiale. Tanti soldi per rinunciare alla guerra con Giuseppe Conte, sostengono le solite malelingue.

Il primo scandalo a tema monetario si verifica nel 2018, con il caso delle restituzioni false. Funzionava più o meno così: i parlamentari che non volevano restituire i soldi del loro stipendio al fondo per il microcredito alle imprese caricavano prima il bonifico sul sito del M5s sulle rendicontazioni e poi, una volta ottenuta una ricevuta che attestava il versamento, lo cancellavano nelle 24 ore successive. Titoli di giornali, espulsioni, inchieste televisive. Ma si è sempre continuato a parlare di soldi. Infatti per anni si è parlato di deputati e senatori che non si tagliavano lo stipendio. E, anche oggi, venuto meno l'obbligo di pubblicare le restituzioni, si discute ancora di eletti che non restituiscono parte del loro compenso, come dovrebbe essere da regole del M5s. Sempre in quella che ormai è la preistoria dell'epopea pentastellata, uno dei motivi della rottura tra il Movimento e l'Associazione Rousseau di Davide Casaleggio è stata la rivolta dei parlamentari che si rifiutavano di scucire i 300 euro mensili al guru per il mantenimento della piattaforma. A pensarci bene anche il tema del doppio mandato è anche una questione di soldi. Di deputati e senatori che non vogliono mollare stipendi e benefit di Montecitorio e Palazzo Madama. Lo stesso Casaleggio, nel 2020, alla richiesta dell'allora capo politico reggente Vito Crimi di diventare un semplice fornitore di servizi, rispose con un preventivo da capogiro: 1 milione e 200mila euro l'anno di retribuzione.

A proposito dei 300mila euro di Grillo, non bisogna dimenticare le altalene finanziarie della società che gestisce il blog del comico. Dopo anni di perdite, nel 2022 il sito del fondatore del M5s è tornato a fare utili, anche se di poco: 72mila euro. E la vicenda della consulenza di Grillo è connessa al nuovo tesoretto di cui può disporre il Movimento a partire dal 2023. Parliamo del 2x1000, da sempre avversato proprio dal Garante, ma sdoganato da Conte alla fine del 2021 con una votazione online. E ancora, un anno dopo, le polemiche per l'assunzione di alcuni big non ricandidati in Parlamento in virtù della regola dei due mandati e assunti a libro paga dei gruppi di Camera e Senato.

Due casi su tutti: Paola Taverna e Vito Crimi, entrambi arruolati a 70mila euro all'anno. Con tanto di proteste degli ex collaboratori licenziati senza tanti complimenti all'avvio della legislatura in corso. Dal mito del Movimento francescano alle beghe sui soldi il passo è stato breve.

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