«È naturale per un israeliano combattere per il proprio paese, per la patria. Adesso c'è la mobilitazione generale e gli italiani che stanno facendo il servizio di leva, come tutti gli altri, parteciperanno alle operazioni» spiega Enrico Mairov, veterano, 50 anni fa, dei corpi speciali, proprio nella guerra dello Yom Kippur, che vive a Milano. Presidente della Nuova Udai 10.0, un'importante associazione di amicizia fra Italia e Israele. «Non abbiamo scelta: Dobbiamo vincere - sottolinea - ma temo che ci saranno ancora molte vittime».
Antonio Tajani, ministro degli Esteri, ha rivelato che fra gli italiani in Israele, «molti con il doppio passaporto, un migliaio sono giovani che stanno svolgendo il servizio di leva con l'esercito israeliano». Ragazzi che vivono in Israele, di religione ebraica «ma hanno anche il passaporto di origine» italiano.
Mairov, medico di professione, spiega di non avere «più l'età per tornare in servizio attivo, ma ho sempre dato la disponibilità a Tsahal (l'esercito israeliano, nda) se servisse il mio appoggio». Ed è convinto che se la situazione precipitasse «molti membri della comunità ebraica italiana farebbero qualsiasi cosa per Israele anche arruolarsi» per combattere Hamas. Da giovane riservista nel 1973 ha fatto l'autostop per fronteggiare i siriani sul Golan. Mairov sottolinea che «questa guerra è iniziata in maniera disastrosa, ma non abbiano di fronte solo Hamas. Il conflitto è fra Iran e Israele e la risposta deve essere strategica».
La speranza è che non si apra un nuovo fronte in Libano dove ieri sono scoppiate le prime scintille a colpi di razzi e artiglieria fra Hezbollah, il partito armato sciita fedele a Teheran e l'esercito israeliano. In mezzo ci sono i caschi blu della missione Unifil. «Le nostre forze di pace rimangono nelle loro posizioni. Continuano a lavorare, alcuni dai rifugi per la sicurezza con l'obiettivo di contenere la situazione ed evitare un'escalation più grave» ha fatto sapere il comando dell'Onu. Il settore ovest, una delle aree calde a ridosso della Blue line, il confine non ufficiale fra Libano e Israele, è sotto la responsabilità del generale italiano Giovanni Brafa Musicoro. Dal suo comando alla base Millevoi di Shama fino a Naqura e altre posizioni sono dispiegati 1076 militari italiani, in gran parte della brigata Granatieri di Sardegna con 374 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei. E c'è anche un Gruppo Squadroni del reggimento «Lancieri di Montebello» con le blindo Centauro e gli elicotteri dell'esercito della task force Italair.
Il 22 settembre gli italiani hanno partecipato a un'esercitazione con le forze armate libanesi, nome in codice Steel storm. I caschi blu fanno da cuscinetto fra Hezbollah ed esercito israeliano, ma il rischio è che missili e colpi d'artiglieria passino sopra le loro teste come nel 2006.
L'Italia ha anche una piccola missione di addestramento dei carabinieri con l'Autorità nazionale palestinese a Gerico. Due cicli annuali di 12 settimane ciascuno per formare le forze di sicurezza mobilitate in queste ore dal presidente Mahmoud Abbas conosciuto come Abu Mazen. Cinque giorni fa si è concluso l'ultimo corso non proprio combat sulle «prospettive di genere» per l'impiego delle donne.
Il colonnello dei carabinieri, Giuliano Polito, senza immaginare che si stava preparando la tempesta di Hamas si è fatto fotografare con i partecipanti palestinesi dichiarando che «le donne hanno un ruolo cruciale nella costruzione della pace e nella promozione della sicurezza globale».
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