Quei predatori dalla tripla A ora saccheggiano il credito

Dopo aver svenduto le imprese con Monti tocca alle banche. Il sistema è una bomba che farà saltare Renzi

Quei predatori dalla tripla A ora saccheggiano il credito

È la crisi delle banche italiane la bomba a orologeria pronta ad esplodere sotto la sedia del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, come nel 2011 fu lo spread per Silvio Berlusconi. Con la differenza che lo spread era frutto di una speculazione e non dipendeva dall'operato del governo allora in carica, che con quattro manovre per un valore cumulato di oltre 230 miliardi aveva messo in sicurezza i conti pubblici, mentre l'esecutivo attuale, per insipienza e per insopportabili conflitti d'interesse, è in gran parte responsabile del collasso delle banche cui assistiamo oggi.

Il sistema bancario italiano, infatti, non è così debole come lo descrivono. Non ha la mole enorme di derivati che hanno in pancia le banche tedesche e francesi. E i crediti deteriorati di cui tanto si discute, finiti da qualche mese nell'occhio del ciclone, non sono tanto pericolosi quanto sembra. Eppure negli ultimi anni la situazione è precipitata.

Hanno destabilizzato il sistema i quattro decreti del governo Renzi che hanno interessato il settore bancario, dalla trasformazione delle banche popolari in Spa al fallimento guidato delle quattro banche care al premier (per ricordare solo i due che hanno prodotto più scompiglio per le inchieste che ne son derivate, si pensi a quella sull'insider trading per cui lo stesso Renzi è stato interrogato dai magistrati).

L'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea non ha fatto altro che concentrare l'attenzione su criticità che non sono certo nuove, ma sicuramente diverse da quelle che avevano riguardato le banche degli altri paesi durante la grande crisi economica e finanziaria cominciata nel 2007 negli Stati Uniti e poi propagatasi in Europa.

Nei due anni e mezzo di governo Renzi, i provvedimenti relativi al delicato settore del credito hanno generato caos e confusione piuttosto che salvare le banche in crisi. Così, dopo la spocchia di Monti e l'inerzia di Letta, ora abbiamo inesperienza e l'arroganza dell'attuale presidente del Consiglio, che ha puntato tutto sulla riforma costituzionale e della legge elettorale per rafforzare il suo potere e non ha messo in sicurezza le banche.

Ma noi non siamo come la sinistra, che usò la speculazione contro il debito sovrano dell'Italia per far fuori il governo Berlusconi, ultimo governo legittimamente eletto dal popolo e all'avvento del governo Monti. Noi oggi non manderemo a casa Renzi usando il collasso del sistema bancario. Il presidente del Consiglio venga, però, in Parlamento a dire la verità, assumendosi le sue responsabilità e cercando una soluzione condivisa.

In un Paese storicamente bancocentrico come l'Italia tira proprio una brutta aria. Nessuna delle grandi, solenni promesse di Renzi si è concretizzata: niente consolidamento bancario e niente alleggerimento delle sofferenze. Al loro posto c'è invece l'equivalente di una centrale mobile Avis, il fondo Atlante e il suo futuro alias Giasone, dove a intervalli sempre più ridotti gli attori finanziari italiani sono chiamati a donare il proprio sangue.

Dopodiché ci mancava solo Renzi, che all'indomani di Brexit ci mette il carico da novanta, azzardando un'azione unilaterale di ricapitalizzazione delle banche. Un'iniziativa da caudillo sudamericano, da cui solo a fatica i burocrati riescono a dissuadere Renzi e il suo devoto, obbediente e indeciso a tutto Padoan.

La cosa però rimbalza su tutti i giornali l'operazione di «massaggiamento» mediaticamente è ormai partita e l'indomani la stampa internazionale riserva all'Italia un'accoglienza micidiale. Già, perché a Londra, New York e Francoforte si è fatta ormai strada l'idea che l'Italia danzi ubriaca su un duplice, strettissimo crinale. Quello bancario, dove all'imperizia complessiva si somma l'improvvisazione di un premier alquanto digiuno di economia e finanza. E quello politico, dove la scadenza del referendum autunnale è vista come il suicidio politico di un primo ministro il cui ciclo si sta rivelando breve oltre che tragicamente intenso.

Ai grandi hedge fund è chiaro che l'inquilino di Palazzo Chigi ha perso il controllo del governo, del parlamento, del proprio partito e soprattutto della gente, la cui insofferenza nei suoi confronti sta conoscendo un'accelerazione senza precedenti. Quando le cose stanno così, ricordano i più maturi tra i finanzieri internazionali, tutto accelera. I ruffiani si dileguano, restano solo i fedelissimi della prima ora, e forse nemmeno quelli. I nemici, specie quelli del suo partito, sentono l'odore del sangue e si eccitano. Chi ha tenuto a lungo carte nei cassetti vedendo Renzi ancora troppo forte si convince che l'aria è cambiata. Insomma, è la fine.

Chi conosce i mercati sa che agosto può essere caldo, ma in genere il rintocco macabro arriva in autunno. Lehman si incrinò in estate, ma saltò in autunno. Il periodo, cioè, in cui è previsto il referendum di Renzi. Le due crisi si saldano, tutto si tiene. Renzi ha un bel dire «dopo di me, il diluvio». Il suo è un abbaiare stanco: «Dopo di me, solo le urne» oppure «se perdo, salgono i grillini». Ma il mondo non è un sistema binario.

Chissà se ora il fu Rottamatore davvero proverà a guadagnare tempo, facendo intendere di non essere contrario allo «spacchettamento» dei quesiti referendari, lanciare ricorsi e allungare la minestra per arrivare a primavera dell'anno dopo. Cosa è rimasto dello spirito primigenio della rottamazione? Dove è il candore, il guizzo dell'homo novus?

Questa, signori, è la quintessenza della Palude, del Palazzo. È il politico che con un gioco di alambicchi prova a indovinare la formula che gli dà qualche primavera in più. La verità è che Renzi ha creato un bel guaio al Paese, e una gatta da pelare al capo dello Stato, finora silente come richiesto dal ruolo. Fondamentale soprattutto in fasi di crisi.

Insomma, comunque vada sarà un disastro, perché i predatori dalla tripla A del Nord Europa (e non solo), dopo essersi comprati a prezzi di saldo con Monti i gioielli di famiglia industriali, adesso si stanno comprando le nostre banche, il sistema sanguigno del Paese, da cui dipende l'andamento dell'economia italiana. Un sistema ricco, fatto dei risparmi quantitativamente e qualitativamente preziosi e abbondanti delle famiglie italiane. Una gallina dalle uova d'oro.

A questo ci ha portato l'impotenza dei dilettanti allo sbaraglio del governo Renzi che, come è emerso dall'inutile intervento del ministro Padoan all'assemblea dell'Abi, degno più di Chance (il giardiniere del famoso film di Peter Sellers) che di uno stimato professore universitario, restano inerti davanti agli eventi, nell'assoluta incapacità e mancanza di senso di responsabilità e di professionalità.

Con i fondi di investimento esteri a fare il bello e il cattivo tempo sui mercati e un establishment istituzionale-bancario frenato e bloccato che non vuol perdere nessuna posizione e nessun privilegio. Qui sta venendo giù tutto. L'autobus dell'Economist sta per cadere dal dirupo, ma Renzi non se ne accorge e continua a sorridere al volante.

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