Quei progressisti malati di "appellite" per colpire i nemici o aiutare i compagni

Dalla revoca dei servizi sociali a Berlusconi al ripristino della scorta a Ingroia

Quei progressisti malati di "appellite" per colpire i nemici o aiutare i compagni

La chiamano «appellite», c'è chi la definisce malattia, riflesso pavloviano che costringe a firmare una dichiarazione di sani e robusti principi e impedisce di dire no a chi ti attrae a una buona causa. Che poi, in tempi di relativismo imperante, non è sempre facile distinguere il bene dal male e le battaglie giuste dai harakiri. Allora proliferano firme sotto manifesti con obiettivi umanitari belli e immensi come strappare alle acque i migranti che annegano ogni giorno o, con la stessa facilità di clic, per la droga libera. In mezzo la difesa dei cinghiali in Toscana, campagna 2016 di Dacia Maraini e Franco Battiato.

Più difficile dire perché sia così diffusa a sinistra, forse perché parente del buonismo, a volte ultimo omaggio che il vizio rende alla virtù. Se i radicali ne hanno fatto un mantra, con libretti di istruzioni pronte per chi voglia organizzare raccolte di firme, alcuni ipotizzano che sia nata nel Sessantotto, quando ci si lanciava in pubblici proclami pro o contro tutti. Negli anni prof, scrittori, attori e intellettuali più o meno eredi di quel clima hanno firmato per le unioni civili e l'Europa, a favore dello ius soli, per far tacere le armi in Medio oriente (Gad Lerner e Roberto Saviano nel maggio scorso). Qualcuno per lo zucchero, altri per le foche. Via Change.org, sito di petizioni (perché l'appellite è malattia contagiosa ormai nazionale), è arrivata una richiesta dolce ma puntuale: «Coniare monete da un euro con l'effigie di Rita Levi-Montalcini».

Così non c'è da stupirsi troppo neppure della trovata di Rolling Stone, che ha raccolto stelle, stelline, scrittori e volti noti degli appelli per dire «Noi non stiamo con Salvini». Nell'elenco molti che firmano con regolarità in favore di cause politiche e filantropiche, come Erri De Luca, Michele Serra, Zerocalcare e c'è poco da stupirsi che sia così per uomini la cui arma più potente è la parola. Niente di nuovo sotto il sole. Nel 2014, Micromega di Paolo Flores d'Arcais raccolse 25mila firme per chiedere la revoca dei servizi sociali a Berlusconi. Solo un esempio degli assalti post-girotondini al Cavaliere. Non si è salvato Matteo Renzi, perché le petizioni a Mattarella contro il referendum e la «buona scuola» hanno convinto teste come Massimo Cacciari, Umberto Galimberti, Nadia Urbinati, Salvatore Settis.

Gli appelli continuano. Il 27 giugno scorso, rispondendo alla lettera di una studentessa a Concita De Gregorio che chiedeva agli intellettuali di pronunciarsi contro il governo Di Maio- Salvini «incostituzionale e razzista», Repubblica ha messo in fila decine e decine di prof, docenti universitari, scrittori, artisti, attori, registi, economisti.

Dopo lo scivolone di Salvini sulla scorta da togliere a Saviano, sono fioriti appelli per mantenere la protezione all'ex pm Antonio Ingroia. E le «Agende rosse» si sono mobilitate per rafforzare la scorta di Di Matteo, pm della trattativa Stato-mafia. «Le sentenze di morte della mafia non vanno in prescrizione» la frase per convincere i recalcitranti.

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