Quelle crepe politiche dietro la riscrittura del decreto anti rave

Sull’ergastolo ostativo, sui migranti e sulle intercettazioni si scontrano le anime garantiste e giustizialiste della coalizione

Quelle crepe politiche dietro la riscrittura del decreto anti rave

È lo scontro fra garantisti e giustizialisti, per usare il linguaggio di qualche anno fa. Solo che allora lo schema, imperfetto come tutte le semplificazioni, contrapponeva la destra alla sinistra. Oggi, nel governo di destra centro, convivono posizioni diverse, a tratti alternative. E qualche spigolo rompe la compattezza della maggioranza che ha appena sfornato il decreto anti rave, ma segmenti della stessa coalizione, non del centrosinistra, affermano già di essere pronti a disfare e rifare la tela del provvedimento.

Fa un certo effetto leggere le dichiarazioni di uno degli uomini chiave di Forza Italia in materia, il senatore Pierantonio Zanettin, ex componente del Csm; senza tanti giri di parole Zanettin afferma: «Credo sia una norma scritta troppo in fretta: doveva essere meglio delineata la fattispecie astratta», evidentemente troppo generica e quindi potenzialmente invasiva, «e ridotto il massimo edittale. Credo che 4 anni possano bastare».

Parole che confliggono, se lette in controluce, con quelle pronunciate ieri in un'intervista al Giornale dal sottosegretario all'Interno di fede salviniana Nicola Molteni: «Le intercettazioni non sono un problema. Il problema non è l'uso, ma semmai l'abuso».

Infatti, come sappiamo, abbassando l'asticella della pena massima a 4 anni, contro i 6 di oggi, proprio questo strumento così invasivo verrebbe eliminato dall'arsenale delle procure. Non si tratta di tecnicismi o, comunque, non soltanto di quello.

C'è una visione più repressiva e una più liberale che coesistono dentro la maggioranza. E non sempre, a complicare ulteriormente le cose, sono riconducibili a logiche di partito. Dicono per esempio che Carlo Nordio, guardasigilli supersponsorizzato da Fratelli d'Italia, che l'aveva lanciato anche nella corsa al Quirinale, abbia vissuto con disagio questa stretta nell'impostazione, lui che ha predicato una vita contro gli eccessi delle cimici e più in generale contro lo sviluppo senza freni dell'armamentario penale.

Insomma, Nordio avrebbe vissuto con un certo fastidio, pur stemperato nelle dichiarazioni ufficiali, la prova muscolare offerta dal lato destro della maggioranza. Anche se sul punto infiammato degli «ascolti» la stessa premier avrebbe invitato alla prudenza e a una linea più morbida.

Sfumature, ma non solo. Si delineano meglio, giorno dopo giorno, le due anime della destra centro che non è uguale al centrodestra: vale per l'ergastolo ostativo, dove pure si cerca una difficile mediazione fra sensibilità diverse e fra il Palazzo e la Corte costituzionale, e vale anche sul fronte dei migranti che arrivano a Lampedusa.

Qui è Salvini il capofila, altri suggeriscono un approccio più lieve: nel nostro Paese dall'inizio dell'anno sono entrati meno di novantamila profughi, tanti e in crescita, ma i numeri sono relativi, se paragonati ai 170mila giunti dall'Ucraina.

Su questo versante si rischia di complicare il rapporto già non semplicissimo con l'Europa che si fida di Tajani ma deve ancora prendere le misure al presidente del Consiglio, al debutto a Bruxelles proprio ieri.

Insomma, c'è una crepa e forse anche più di una dentro il perimetro dei vincitori delle elezioni. Per carità, non c'è un partito unico e tutto questo ci può stare.

Il provvedimento della discordia verrà modificato in parlamento, come riconoscono un po' tutti.

E però ancora una volta si corre a marcare le differenze. «Se non dovesse arrivare un emendamento direttamente dal governo - spiega a Tagadà Giorgio Mulè, uno dei big azzurri - lo farà Forza Italia».

Tutti piazzano le bandierine. Poi si vedrà

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