Quell'Italia che va sempre a "due velocità"

In una guerra di logoramento occorre serrare le fila e marciare compatti. Invece l'Italia in trincea contro il Coronavirus si ritrova a respingere l'artiglieria pesante con un equipaggiamento tutt'altro che uniforme

Quell'Italia che va sempre a "due velocità"
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In una guerra di logoramento occorre serrare le fila e marciare compatti. Invece l'Italia in trincea contro il Coronavirus si ritrova a respingere l'artiglieria pesante con un equipaggiamento tutt'altro che uniforme. Non è una questione di capacità dell'esercito in campo: solo grazie al sacrificio quotidiano di chi sta combattendo questa battaglia possiamo reggere il colpo, giorno dopo giorno.

Eppure l'emergenza costringe il Paese a guardarsi allo specchio, a studiare la propria storia. Fatta di spettri che hanno tormentato il suo passato e che aleggiano nel presente. Davanti alle curve del contagio, ci si interroga sul tempo a disposizione per debellare un nemico strisciante. E torniamo a fare i conti con quelle «due velocità» che gli analisti politici ed economici ben conoscono. Protezione civile ed epidemiologi oggi si trovano finalmente d'accordo, ma questa non è una buona notizia in sé. Nonostante il drammatico stillicidio di vittime, al Nord le misure di contenimento sembrano dare le prime risposte positive: i contagi cominciano a rallentare. «Il trend è al ribasso», ha dichiarato ieri sera Angelo Borrelli dopo aver comunicato le cifre del quotidiano bollettino dal fronte. Al Sud, intanto, le tabelle epidemiologiche descrivono un'altra realtà. C'è apprensione per i 472 nuovi casi nel Lazio, 363 in Campania, 203 in Sicilia, i 165 in Abruzzo e per i 212 dell'altro ieri in Puglia. Il contagio, insomma, avanza su un doppio binario che mette a rischio la tenuta del nostro sistema, inquadrata in una prospettiva di medio-lungo termine. Se le simulazioni degli esperti si dovessero rivelare fondate, il rischio è che nei prossimi mesi - o forse nelle prossime settimane - avremo un Paese per l'ennesima volta spaccato. Con le regioni del Nord in cui, scavallato il picco dei contagiati, si potrà già ragionare sulla «ricostruzione» e sul graduale ritorno alla normalità, e quelle del Sud che potrebbero essere investite in pieno dall'esplosione del virus. Perciò il governatore pugliese Emiliano lancia l'allarme: «Possiamo gestire 2mila contagi e 200 persone in rianimazione. Teniamo sono fino a lì...». Il pericolo che l'onda lunga possa trasformarsi in uno tsunami è altissimo.

È il 2020, ma le radici di un altro «morbo», finora incurabile, affondano nel 1861. Da allora il rebus del divario Settentrione-Meridione ha attraversato qualsiasi stagione. La faglia si è allargata fino a spalancare un crepaccio.

Ma stavolta la maledizione delle due velocità fa più paura perché non siamo seduti in un salotto tv a discutere di Pil pro capite, tassi di disoccupazione o astrusi di test Invalsi. Oggi siamo in guerra. E terrorizza anche solo l'ipotesi che il Paese sia diviso a metà quando c'è in gioco la sopravvivenza.

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