Una molotov contro la casa dell'orco. Il pedofilo che violenta e uccide le sue piccole vittime. Come nel più orribile degli snuff movie. Una molotov che è però un'esplosione di ipocrisia, più che di benzina infuocata. Per anni, infatti, il popolo del Parco Verde - il colore che meno si addice a questo luogo di negazione della speranza - ha fatto come le tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo; ora quel popolo di ciechi, sordi e muti finge di reagire accendendo la miccia dell'indignazione. Ovviamente pilotata. Figlia dell'opportunismo e quindi ancora più vigliacca.
A sigillare il «patto» tra due diverse infamità adesso c'è quella finestra che puzza di bruciato. Una puzza che pervade tutta Caivano, comune napoletano di quasi 40 mila anime. Ma che l'anima pare averla smarrita. Maledetto il giorno in cui si è nati qui. «Qui» significa un posto maledetto dove, nel «palazzo dell'orrore», tutti sapevano, ma giravano la faccia dall'altra parte. Anche quando Fortunata Loffredo, 6 anni, il 24 giugno 2014, «volò» da un balcone sfracellandosi in cortile. «Tragico incidente», si disse. Ora si scopre che Fortunata (Chicca) fu scaraventata giù Raimondo Caputo, 44 anni, l'«amico di famiglia» che la violentava da anni. Con la complicità di altri uomini (padri) e gli occhi semichiusi di donne (madri), spesso amanti, mogli, fidanzate degli stessi pedofili. E poco importa se le vittime fossero carne della loro stessa carne. All'«amico di famiglia» «può» - e «deve» - essere concessa ogni cosa, compresa la più turpe. Non a caso la bottiglia incendiaria è stata lanciata contro l'abitazione della compagna di Caputo, che insieme con lui frequentava la casa della madre di Fortunata, dove spesso lasciava anche la sua bambina, amica di giochi di Chicca. Ieri la svolta nell'inchiesta. Motivo del delitto? La bambina si era rifiutata di subire l'ennesima violenza. Lo ha ricostruito la Procura di Napoli Nord che per quasi due anni si è scontrata con un muro di omertà che ha protetto Caputo. L'accusa per lui è di violenza sessuale e omicidio. L'uomo è già in carcere insieme alla compagna da novembre 2015. I due, allora, furono fermati con l'accusa di violenza sessuale sulla figlia di tre anni. La donna di 26 anni era madre di un altro bambino di 3 anni morto il 28 aprile 2013 precipitando anche lui dal balcone dello stesso palazzo del parco Verde di Caivano in cui morì un anno dopo Fortuna Loffredo. «Sono un bravo papà», si è sempre difeso Caputo, negando di aver ucciso Fortuna Loffredo e di aver commesso abusi sessuali verso minori. Ma ieri, di fronte alla seconda ordinanza in carcere ricevuta in pochi mesi, questa volta con l'accusa di essere il responsabile della morte della bimba di sei anni, Caputo ha vacillato.
«Ma probabilmente non perché si è pentito, ma solo perché ha iniziato a comprendere che resterà in carcere molto a lungo», hanno sottolineato gli inquirenti. Prima di essere arrestato a novembre del 2015 per il primo abuso sessuale contestato - quello ai danni della figlia di tre anni avuta con la compagna anch'essa arrestata e finita ai domiciliari per concorso in violenza sessuale su minore - Caputo era entrato e uscito dal carcere per una lunga serie di reati comuni, dal furto alla rapina, dal porto abusivo d'armi alla violenza a pubblico ufficiale. Un disoccupato pluri-pregiudicato mai però coinvolto in indagini di camorra o di droga, attività molto fiorente a Parco Verde, ma che comunque incuteva timore negli inquilini dello stabile, che lo hanno protetto fino all'ultimo, e dei bambini di cui abusava. Sulla morte di Fortuna ha sempre detto che quel giorno, il 24 giugno 2014, non era nel palazzo, e nessuno lo ha mai contraddetto, ad eccezione proprio delle piccole vittime. Dall'inizio il sospetto della Procura è stato che Fortuna sia rimasta coinvolta in un ampio giro di pedofilia. Un un vero e proprio palazzo dell'orrore quello in cui la piccola Fortuna viveva: oltre a Raimondo Caputo e alla compagna, nel corso delle indagini gli inquirenti hanno infatti accertato che anche altri quattro minori erano stati vittime di violenze. Tanto che tra le fine del 2014 e l'inizio del 2015 un'altra coppia di inquilini dello stabile era finita agli arresti per pedofilia. Proprio il contesto ambientale ha complicato le indagini, tra depistaggi e dichiarazioni inventate ad arte. Nel palazzo gli inquirenti hanno sentito più volte gli inquilini, che si sono contraddetti dando versioni poco credibili. La verità solo dopo che i tre figli della compagna dell'arrestato sono stati allontanati da Parco Verde e presi in custodia dai servizi sociali; hanno infatti iniziato a parlare confermando gli abusi anche con dei disegni. Come dire: la collaborazione dei piccoli ha sconfitto l'omertà dei grandi.
La madre di Fortuna, Domenica Guardato, ha sempre puntato il dito contro le persone che abitano nell'edificio: «Il mostro è nel nostro palazzo, è impossibile che nessuno abbia visto. Chi sa parli», disse mesi dopo la morte della piccola.Davanti alla casa con le imposte bruciate, c'è una statua bianca della Madonna. Ha il volto basso. E sembra piangere.
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