Rebus governo in Francia (e Le Pen minaccia il bis)

I socialisti pronti a trattare ma vogliono il premier, il no dei neogollisti. Marine: "Posso sfiduciare ancora"

Rebus governo in Francia (e Le Pen minaccia il bis)
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Il governo di «interesse generale» evocato da Macron non è alle viste. E la nomina di un premier «nei prossimi giorni» è già slittata almeno a lunedì, quando proseguiranno le consultazioni post-crisi. All'Eliseo si negozia. All'indomani del suo discorso alla nazione, il presidente francese è partito dai socialisti: pronti a sostenere un governo di larghe intese purché non guidato da un conservatore di destra neogollista. Difficile immaginare però un Ps alleato a luglio con Mélenchon andare a braccetto con la destra repubblicana a dicembre. Ieri Macron ha provato a sollecitare uno strappo: per sua stessa ammissione, le consultazioni puntano infatti a isolare estrema sinistra e lepenisti dal potere. Un sogno su cui Macron lavora tuttora.

Aperture dal Ps, con richieste inizialmente giudicate irricevibili dai macroniani, come la sospensione o l'abrogazione di quella riforma-totem per l'Eliseo, le pensioni, fatta passare senza discussione parlamentare ad aprile 2023. Socialisti pronti allora a un compromesso sull'età, ma con richiesta di un premier di sinistra. Niente da fare, per ora. Mancano i numeri per sostenerlo, secondo Macron. Che ha ricevuto all'Eliseo anche i neogollisti dello sfiduciato Barnier. Per loro, gli eredi di Mitterrand si sono ormai «compromessi» con l'estrema destra: fuori questione accettare di governare insieme come se niente fosse successo negli ultimi 5 mesi.

Se dovesse essere davvero il centrista Bayrou l'uomo della provvidenza per Matignon, da lui prove di ottimismo: «Il centro permette di unire persone diverse, si possono superare le divisioni, specie quando la situazione del Paese è grave». Ma sembra al massimo capace di creare una coalizione di centrodestra con qualche paio di socialisti dentro, perché l'alleato «rosso» Mélenchon, senza neppure essere deputato, ha finora dominato la coalizione fatta da verdi, comunisti e Ps, comprimari della sua «Francia ribelle», e tiene tuttora in scacco l'alleanza. I suoi ieri hanno bollato come «stupefacenti» le mani tese dal Ps a Macron.

Il dilemma Ps è grande come la tentazione del potere, insormontabile a meno di un «contratto a tempo determinato». Un conto è emanciparsi da Mélenchon, altro è votare con la destra per esempio una legge immigrazione vista di buon grado dai lepenisti, con la stretta sulle richieste di asilo annunciata per gennaio. Il ministro dell'Interno neogollista, Retailleau, ieri ha bocciato ogni intesa col Ps. Il suo leader Wauquiez resta in ascolto ma non entusiasta di un governo-chimera. La Francia non è abituata e i partiti «storici» sono restii ad assumersi il rischio elettorale.

Le Pen minaccia già un'altra mozione di sfiducia, via Figaro: «Nessuno pensi che io abbia le mani legate», dice, affatto sorpresa se il Ps si vendesse «per un piatto di lenticchie». Mélenchon isterizza il dibattito e Macron cede alla richiesta del Ps: sentirà solo al telefono mélenchoniani, comunisti e verdi.

«Non siamo lontani da una crisi di regime», previene l'ex premier macroniano Edouard Philippe, leader di Horizons con 34 deputati: «Bisogna rispettare il Rn di Le Pen, taglia corto. Ma non rientra nei piani dell'Eliseo, tanto che Macron non li ha neppure convocati per consultarli, nonostante siano il primo partito di Francia con 11 milioni di voti.

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