Renzi vuol far saltare tutto per tornare subito alle urne

Ma nel partito si tratta ancora. Franceschini chiude al voto. Contatti Fassino-Bersani. Matteo tenta Emiliano

Renzi vuol far saltare tutto per tornare subito alle urne

Roma - La voce dal sen fuggita di Graziano Delrio, ministro e renziano della prima ora, dà un quadro realistico delle preoccupazioni che attraversano il Pd. E della tenaglia in cui si sente stretta buona parte del suo gruppo dirigente: da una parte i ricatti della minoranza che ormai si avvia alla scissione, dall'altra il segretario che sembra fare poco per evitarla. Perché, sospettano anche nella maggioranza Pd, «pensa che con la spaccatura del partito di maggioranza e dei suoi gruppi parlamentari, le elezioni a giugno diventino molto più facili da ottenere».

È una sensazione che hanno in molti, anche a Palazzo Chigi e al Quirinale, dove descrivono un Mattarella preoccupatissimo che la rottura nel Pd precipiti il paese nell'instabilità e apra la strada ad una vittoria grillina. «Se si va ad elezioni con il Pd imploso e una lista alla sua sinistra che gli toglie voti, i Cinque Stelle possono diventare il primo partito. E Mattarella ha l'incubo di essere costretto a dare l'incarico a uno dei loro», spiega chi conosce gli umori del Colle.

«Neanche una telefonata, ha fatto», si lamentava ieri Delrio con il parlamentare Michele Meta nel fuorionda rubato durante un convegno. «Abbiamo litigato di brutto perché non puoi trattare questa cosa come un passaggio normale. Devi fare capire che piangi se il Pd si divide, non che non te ne frega». Renzi dicono si sia adirato assai per l'incidente, soprattutto perché - spinto dallo stesso Delrio e dagli altri «mediatori» del Pd, aveva lanciato proprio ieri, via Corriere della Sera, un accorato appello a non dividere il Pd. Delrio ha poi corretto il tiro coi giornalisti, spiegando che quell'appello valeva molto più di una telefonata. Fatto sta però che dopo il pasticcio del fuorionda la trattativa si è rimessa in moto. A Palazzo Chigi, dopo il Consiglio dei ministri, si è riunito una sorta di gabinetto di crisi Pd: Minniti, Orlando, Lotti e Franceschini, che dice chiaro: «Il voto a giugno va tolto dal tavolo». Piero Fassino nel frattempo era attaccato al telefono a tentare di far ragionare i bersaniani: «Siate responsabili, fermatevi e troviamo un percorso condiviso». Lo stesso Renzi, che dà per perso Bersani («Quello ormai sta a rimorchio di D'Alema», dicono i suoi), ha chiamato al telefono l'altro aspirante leader scissionista, Michele Emiliano. L'idea è che il vanitoso governatore di Puglia possa essere interessato a fare lo sfidante di Renzi alle primarie del Pd, e che anche il toscano Enrico Rossi possa essere indotto a restare. A quel punto, la scissione sarebbe ridimensionata e depotenziata, e il congresso Pd avrebbe un copione più facile.

Già: perché se gli antagonisti di Renzi se ne vanno in massa («Nel Pd non ci daranno niente, se andiamo con Pisapia invece una decina di candidature sicure le spuntiamo», è il ragionamento rivelatore di un senatore bersaniano spaventato dal rischio disoccupazione), il segretario uscente si ritroverebbe solo alle primarie: «E come facciamo a far venire la gente a votare?», si chiedono allarmati nel Pd.

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