Nel mare in tempesta di queste ore, mentre sotto il pelo dell'acqua i vertici M5s ancora brigano e sperano che Salvini convinca i propri riottosi alleati all'appoggio esterno di un governo targato Lega-M5s, le seconde file sparano compatte contro l'ipotesi del governo «neutrale» e invocano il voto «balneare» a luglio. Da Danilo Toninelli a Manlio di Stefano («Al voto il prima possibile»), ad Alessandro di Battista che definisce il percorso tracciato dal Quirinale alto tradimento, è tutto un fuoco di fila.
Luigi di Maio spara la più grossa: «Ho apprezzato molto» il fatto che la compagine parlamentare M5S sostenga l'idea di ritornare al voto, «perché non è scontato» per un parlamentare che è appena arrivato in Parlamento. Ma i primi cui sembra che il Movimento oggi abbia le polveri bagnate sono proprio i militanti, che sui social sbertucciano la linea adottata dai vertici. Fra rabbia e smarrimento. «E chi le paga queste elezioni?», «Con il proporzionale potremmo votare anche 15 volte, ma il problema si riproporrà», sono alcuni dei commenti al post battagliero del capogruppo al Senato Toninelli. C'è anche chi parla di suicidio politico del movimento, in altri casi prevale la rassegnazione: «Basta.. non ci sarà questo governo del cambiamento, hanno vinto Renzi&Berlusconi, la casta e l'aumento dell'Iva».
Ma tant'è, la campagna elettorale in casa 5stelle è di fatto già cominciata. Nel mirino c'è soprattutto il bacino di voti del Pd: «Secondo gli analisti -dice Di Maio in tv a Di Martedì, dal Pd possiamo recuperare l'8%». I primi atti della campagna sono all'insegna del più spietato pragmatismo, per non intralciare quella che, secondo i sondaggi, sarebbe per i pentastellati un'altra marcia trionfale. Il più clamoroso riguarda il vincolo dei due mandati, archiviato con un tratto di penna dopo averne fatto la «questione morale» grillina contro il professionismo degli altri partiti. Ora invece si va in deroga, la circostanza lo impone. E il primo a tirare un sospiro di sollievo è ovviamente il leader Di Maio. E poi via anche le parlamentarie, altro motore della macchina 5stelle, ora però troppo ingombranti e lente per avviarle. Dunque liste bloccate e candidati invariati. Almeno per il momento.
Ma c'è un'altra questione che in queste ore agita le acque pentastellate, quella dei rimborsi, oscurata dalla partita per tentare di far nascere un governo, ma che è ancora in attesa di soluzione. Soprattutto dopo «rimborsopoli», lo scandalo scoppiato durante la scorsa campagna elettorale. Bonifici fatti e poi revocati da alcuni grillini, poi espulsi per questo. Nella legislatura appena nata, i parlamentari hanno già incassato il primo stipendio - quasi 15mila euro - ma i pentastellati si ritrovano con tutti i soldi sul conto corrente, ancora in attesa di sapere quanto restituire e a chi. Nel dubbio, meglio morire d'inedia che feriti a morte da uno scontrino. Il sistema di rendicontazione è cambiato, ma nessuno sa ancora quale sia. Archiviati scontrini e ricevute, considerati sistema troppo farraginoso, i vertici hanno deciso di optare per una restituzione forfettaria. Ma con quali criteri, ancora non si sa. Presto i capigruppo dovranno spiegare a vecchi e nuovi eletti che nell'incerto scenario politico potrebbero diventare già ex parlamentari nell'arco di pochi mesi.
Sul tavolo ci sarebbe l'ipotesi di aprire un conto corrente «di passaggio» - il che garantirebbe verifiche più semplici - per poi trasferirli alla destinazione sociale che verrà stabilita: in questi anni è stato il fondo per il micro credito ma adesso molti pentastellati vorrebbero diversificare e fare donazioni a ospedali o onlus.Intanto, potrebbero far contento quel militante che chiedeva chi pagherà il prezzo di un voto anticipato. Loro.
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