Un interrogatorio preparato con cura. Come fosse la maturità. Giornate interminabili a ricapitolare carte e pensieri, poi il chilometrico faccia faccia con i pm. Centottanta domande, secondo le agenzie di stampa, e altrettante risposte. La politica si infila nella via stretta della cronaca giudiziaria ma la cronaca viene reinterpretata dall'azione di governo: «Ho sempre perseguito l'interesse pubblico - scrive Toti nella memoria consegnata ai magistrati - il quale è il fine unico e ultimo della mia azione politica».
Niente dimissioni. Niente titoli di coda, almeno per ora. Non c'è la pistola fumante, anzi secondo la difesa ci sono solo delle spiegazioni da dare e finalmente è arrivato il giorno per fornirle. E per rivendicare con orgoglio la propria storia, consegnando quella memoria che nell'incipit è quasi un manifesto. Avanti, avanti per ore, senza reticenze, forse con un po' di imbarazzo per qualche conversazione scivolosa. Ma la disinvoltura non è e non può essere sinonimo di colpevolezza, Toti ribatte alle accuse, capitolo per capitolo, srotolando tutto il dossier costruito per anni dai magistrati.
Non ci sono valigette, non ci sono scandali, non ci sono collane luccicanti, diademi e massaggi, come da vasta letteratura sull'argomento. Il punto tecnico decisivo è capire se le parole messe a verbale porteranno la magistratura a revocare in un modo o nell'altro i domiciliari.
Se così non fosse, se lo stallo dovesse durare, la situazione potrebbe diventare difficilmente gestibile o addirittura insostenibile. Per ora, però, il dato di fatto è che Toti racconta e cerca di dimostrare la propria innocenza. Dunque, non ha intenzione di lasciare il campo, barattando la libertà con una resa senza condizioni. Non è quello che ha in mente, tutte le mosse di questi giorni spingono in un'altra direzione. Diradare le nubi e non cedere la poltrona che i pm hanno rovesciato.
Una sfida in salita. Certo, c'è il rischio che prosegua come un presidente dimezzato: con la sua area, Cambiamo!, in rotta verso altri lidi e l'apparato burocratico terrorizzato e semiparalizzato.
Nei giorni scorsi Matteo Salvini, che pure oggi sarà in città per la posa del primo cassone della diga foranea, ha mandato gli ispettori all'Autorità portuale, un segnale evidente che tutte le pratiche saranno passate al microscopio. E il percorso di Toti, se dovesse rimanere, sarà una gara ad ostacoli. È anche vero che andare alle elezioni vorrebbe dire fra l'altro rompere delicati equilibri, inventare affannosamente un candidato alternativo che non c'è, accettare la possibilità che la Regione passi a sinistra. Il tutto con 11 miliardi di opere pubbliche e cantieri in gioco.
Un occhio alla procura, l'altro a Roma. «Io ritengo che Toti sia innocente - afferma Matteo Salvini - per come l'ho conosciuto in questi anni, persona corretta e dinamica che ha dato uno sviluppo incredibile a Genova e alla Liguria». Il leader della Lega si spinge oltre: «Era necessario l'arresto di un governatore eletto dai cittadini, a un mese dal voto, e per fatti risalenti in alcuni casi ad anni prima?».
Insomma, Salvini e la Lega, che a Genova esprime il vicepresidente reggente Alessandro Piana, fanno il tifo per il governatore azzoppato.
E Antonio Tajani presidia a sua volta la trincea del garantismo: «Dipende da Toti scegliere se rimanere presidente della Regione oppure no e dipende anche dalle decisioni della magistratura, perché se dovessero essere revocati gli arresti domiciliari si andrebbe nella direzione di una permanenza alla guida della Regione».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.