
Che si parli di pandemia o di armi, alla fine il problema sono i soldi. E ieri i ministri delle Finanze europei hanno iniziato a discutere di come finanziare gli 800 miliardi del piano ReArm per la Difesa annunciato qualche giorno fa dalla Commissione. Con le variazioni del caso le parti in commedia sembrano assegnate già in partenza: i Paesi frugali si oppongono alla messa in comune degli investimenti necessari, quelli Mediterranei e in genere ad alto debito, al contrario, cercano appoggi per non appesantire ulteriormente i propri bilanci.
Eelco Heinen, ministro delle Finanze olandese, arrivando alla riunione, si è attenuto al copione: «I Paesi Bassi non sono a favore degli eurobond con un aumento del debito comune... la Commissione Ue non si sta riarmando, ma gli Stati nazionali devono riarmarsi». Agli antipodi gli spagnoli che attraverso il ministro Carlos Cuerpo hanno chiesto oltre che prestiti, trasferimenti a fondo perduto sul modello del Pnrr.
Quanto alle già citate variazioni, sono più «morbidi» del solito i Paesi Baltici, che «sentono» il problema molto da vicino. Su un altro fronte ne ha dato la prova durante il week end il governatore della banca centrale di Lettonia Martins Kazaks, primo componente ai vertici della Bce a dichiararsi possibilista sul sequestro definitivo dei beni finanziari russi congelati in Europa (fino ad ora Francoforte era contrarissima per il timore di stabilire un precedente dannoso all'euro).
Tornando alle armi, anche i tedeschi sono un po' meno falchi: «Siamo piuttosto scettici sugli eurobond di per sé», ha dichiarato Jorg Kukies, ministro delle Finanze. «Quello su cui la Germania è molto disponibile è pensare, ogni volta che ci sono veri progetti europei, anche a un finanziamento comune».
L'Italia da parte sua ha presentato una proposta che potrebbe essere una sorta di mediazione. Il ministro delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha sottoposto ai colleghi Ue l'«Iniziativa Europea per la Sicurezza e l'Innovazione Industriale». Obiettivo: mobilitare gli investimenti privati senza aumentare il debito pubblico, migliorando l'efficacia delle garanzie Ue per attrarre capitali. Secondo il Mef si potrebbero mobilitare 200 miliardi privati in 3-5 anni, con una garanzia pubblica di 16,7.
I primi paletti sono arrivati invece dal commissario all'Economia Valdis Dombrovskis al termine dell'Eurogruppo: «La Commissione non suggerisce di rivedere le nostre regole fiscali in questa fase». «In primo luogo, abbiamo concluso questo lavoro meno di un anno fa e, in secondo, richiederebbe tempo ... abbiamo bisogno di reagire ora. Per questo motivo proponiamo di utilizzare le possibilità già presenti nella nuova normativa fiscale, ovvero l'attivazione delle clausole nazionali di salvaguardia». Lo strumento consentirebbe per un quadriennio agli Stati membri, di spendere per la difesa fino all'1,5% del Pil ogni anno senza che questo venisse conteggiato ai fini del limite al deficit.
In aggiunta Dombrowski ha parlato anche di un possibile utilizzo del Mes: «Stiamo proponendo una capacità di prestito aggiuntiva di 150 miliardi euro garantita dal bilancio dell'Ue», di un dirottamento di parte dei fondi di coesione e di un possibile ingresso in campo della banca europea degli investimenti.
Ieri, però, le notizie peggiori per il finanziamento al piano di riarmo non sono arrivate da Bruxelles ma da Berlino.
Sia i verdi sia i liberali hanno fatto sapere che non intendono aderire al progetto del cancelliere in pectore Friedrich Merz, appoggiato dalla Spd, di far approvare al vecchio Parlamento un superamento del «freno al debito» per infrastrutture e difesa. Senza di loro la necessaria maggioranza è a rischio. Può darsi che il no sia un espediente negoziale. Ma un piano di riarmo senza la Germania nascerebbe peggio che zoppo.
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