Nel pantano della crisi saltella perfettamente a suo agio una creatura abituata a nascondersi nel sottobosco della politica. Scacciati giaguari e caimani, secondo la regola darwiniana è la specie anfibia che ha saputo meglio adattarsi all'ambiente circostante, fatto di grandi proclami sotto il sole, trattative nell'ombra e dispetti tra le acque stagnanti della politica più paludata. Tozzo e scattante allo stesso tempo, ipnotico e a tratti ripugnante, sui giornali e in tv il rospo è tornato protagonista assoluto delle metafore a Palazzo.
Lo ha ripescato per prima Norma Rangeri sul Manifesto: «Baciare il rospo? Era il gennaio 1995, si trattava del governo Dini, dopo il ribaltone di Bossi contro Berlusconi. (...). La stagione dei rospi sembra tornata di attualità. Renzi e Di Maio sono difficili da digerire». Anche Massimo Giannini su Repubblica è ricorso al «Dilemma del rospo» per spiegare lo stallo dopo la caduta del governo gialloverde: «Baciare il rospo sembra il destino della sinistra italiana (...). Si può baciare anche questo rospo? Lo stesso rospo che si è sdegnosamente schifato dopo il voto del 4 marzo 2018, quando forse aveva ancora senso provare a capire se avesse anche solo un cromosoma da simil-principe da tirare fuori. Lo stesso rospo che (...) adesso sembra contenere la promessa di chissà quale virtuosa metamorfosi». Come se le consultazioni al Quirinale fossero il set di una puntata di SuperQuark, scopriamo che il rospo, che sa starsene rintanato per decenni in uno scantinato del Parlamento, esce allo scoperto se annusa aria di ribaltone e la temperatura tra i partiti si alza. Mentre il segretario del Pd Zingaretti è costretto a ingoiare il doppio rospo di un Conte-bis con Di Maio in una casella chiave, proprio il vicepremier spera di recitare il ruolo della principessa del Principe ranocchio dei fratelli Grimm. Già, magari è stato un malvagio incantesimo a trasformare i democratici nel «partito di Bibbiano», solo un bacio potrà rivelarne la vera natura. Junghianamente, è la rappresentazione plastica dei grillini che perdono la loro (presunta) verginità politica e dicono «sì» al matrimonio di interesse con la sinistra.
In questo gracidare di accordi «per il bene del Paese» c'è il rischio che Pd e M5s facciano la fine della rana bollita. Il principio è stato illustrato dal filosofo Noam Chomsky: se si immerge una rana in acqua bollente, la sua prima reazione sarà quella di schizzar fuori.
Se invece si scalda l'acqua gradualmente, la rana resterà a galla e si adatterà alla temperatura, fino a che non morirà. Perché non sempre adattarsi a qualsiasi situazione, vedi un accordo conservativo tra anime opposte pur di non affrontare il giudizio degli italiani, è una virtù di per sé.
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