La riforma della Rai tra proposte, paure e prove di dialogo

A breve in vigore la legge Ue. I partiti cercano l'intesa rapida

La riforma della Rai tra proposte, paure e prove di dialogo
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Quindi? Come si fa a cambiare la Rai? Come la si rende più autorevole, efficiente, indipendente, all'altezza dei tempi, in grado di competere con i grandi broadcaster internazionali? Dopo la due giorni di dibattiti e incontri degli Stati Generali promossi dalla presidente della commissione Vigilanza Barbara Floridia, almeno un punto fermo c'è: che tutte le forze politiche sono concordi, almeno a parole, nel cambiare il sistema di nomina dei vertici per sottrarre il servizio pubblico dal controllo del governo in carica. Anche le forze (come i renziani) che sono stati gli autori dell'ultima riforma che ha sottoposto l'amministratore delegato all'esecutivo. Certo, a fronte delle decine di interventi che si sono susseguiti (alcuni anche molto interessanti), forse non è un granché ma - visto che da qualche parte bisogna pur partire - prove di dialogo sono meglio delle bordate che finora si sono tirate maggioranza e opposizione e che si sono tradotte nello stallo attuale del Cda Rai dove non si riesce a nominare il presidente (nella figura di Simona Agnes) a causa dei veti incrociati. Tanto che, a fine convegno, il deputato Francesco Filini di Fdi ha invitato tutti i partiti a mettersi una mano sulla coscienza e presentarsi in commissione Vigilanza per procedere alla votazione.

Ma, al di là della contingenza dell'attuale governance, il problema riguarda il futuro delle televisioni pubbliche in generale che - come ha detto bene Noel Curran, direttore di Ebu (European Broadcasting Union) - restano l'unico baluardo verso un mondo in cui il potere della comunicazione - anche grazie all'intelligenza artificiale - sarà in mano a poche Big Tech in grado di influenzare la gran massa dei cittadini.

Un punto fermo è la data dell'8 agosto 2025: quel giorno entrerà in vigore direttamente anche in Italia l'European Media Freedom Art che all'articolo 5 sancisce che la televisione pubblica deve essere indipendente e autonoma dal potere politico. Dunque entro quella data va rifatta la legge italiana, pena le procedure di infrazione. Più o meno, tutte le proposte avanzate dai vari relatori mirano a riportare la scelta di chi governa la Rai al Parlamento, con diverse modalità. Sintetizza Mario Sechi, direttore di Libero: «Essendo la Rai finanziata dal canone, e dunque dai cittadini, deve esserci più politica e non meno politica a decidere chi comanda nel servizio pubblico. Poi, però, i vertici scelti devono essere lasciati liberi e devono avere l'autorevolezza per farlo». Già, ma questo pare il mondo dei sogni. Come fare concretamente ad arginare la brama dell'esecutivo? Per esempio, aumentare la durata del Cda a 5 anni, in modo che sia meno soggetto al governo in carica. È questa una delle proposte presentate dal capogruppo di Forza Italia in commissione Vigilanza Roberto Rosso insieme all'eliminazione della figura dell'amministratore delegato nominato da Palazzo Chigi e al ripristino di quella del direttore generale nominato dal cda.

Il Pd propone il modello della Fondazione sullo stile BBC, mentre Marco Travaglio mette sul tavolo il modello tedesco dove la governance è nominata sia dalla politica sia da una vasta rappresentanza da addetti ai lavori e società civile. La Lega insiste sulla diminuzione del canone (da 90 a 70 euro) compensata dall'aumento dei tetti pubblicitari, proposta che vede contrari tutti gli altri.

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