Sull'onda del caso Almasri e di un nuovo innalzamento della tensione tra toghe e politica, torna alla ribalta la questione dell'immunità parlamentare. E anche se non c'è ancora una proposta di legge sul tema, le opposizioni colgono la palla al balzo per sollevare la polemica. Dopo le prime aperture da parte di alcuni esponenti di Forza Italia, è lo stesso leader azzurro Antonio Tajani a mostrarsi cauto sul ripristino della norma abolita nel 1993, nel pieno del clima giustizialista di Tangentopoli. «Non ne abbiamo parlato, ma potrebbe anche essere un'idea. Non ne abbiamo parlato neanche in Forza Italia. Io personalmente non sono contrario, però è da discutere per vedere in che termini e come», smorza in parte Tajani.
A innescare il dibattito era stato il deputato di Fi Tommaso Calderone, capogruppo dei forzisti in commissione Giustizia alla Camera. «Credo che sia corretto nel contesto storico in cui noi ci troviamo e in cui è inutile negare che ci sia una parte politicizzata della magistratura, ripristinare le garanzie previste fino al 1993», l'ipotesi di Calderone, che però aveva precisato che l'idea era frutto di «un'opinione personale» e che un'eventuale proposta si sarebbe dovuta discutere prima di tutto all'interno di Fi. Favorevole anche il capogruppo azzurro in commissione Giustizia al Senato Pierantonio Zanettin. «Ritengo che sia stato un errore della politica quello di contraddire il principio dei nostri padri costituenti secondo cui, nella logica della separazione dei poteri, l'immunità parlamentare ci sta tutta. Se adesso, maturati i tempi, si vuole tornare indietro io sono assolutamente favorevole», riflette Zanettin. «È ora di finirla con questa prassi di mettere sotto inchiesta i politici per qualsiasi cosa», dice Raffaele Nevi, portavoce di Fi. Raccoglie l'apertura la Lega, con il senatore Claudio Borghi, secondo cui bisogna «riportare la volontà che animò i membri dell'Assemblea Costituente nel 1947 quando scrissero l'articolo 68» della Costituzione». Sulla stessa linea un altro leghista come Alberto Bagnai.
Per un ipotetico ritorno dell'immunità toccherebbe cambiare proprio quell'articolo della Carta, modificato nel 1993. Attualmente, la norma prevede soltanto che deputati e senatori non possono rispondere delle opinioni e dei voti espressi «nell'esercizio delle loro funzioni». Mentre l'autorizzazione preventiva della Camera o del Senato è ancora necessaria per perquisizioni, intercettazioni o arresto. Ma presto la prima proposta di un ddl potrebbe arrivare dalla Fondazione Luigi Einaudi, come annunciato dalla stessa associazione. Da FdI si esprime il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato Alberto Balboni, che stoppa: «Non vedo alcun motivo che possa giustificare una modifica dell'attuale disciplina dell'articolo 68. A mio giudizio va bene esattamente com'è».
Ad accelerare su un no prematuro è l'opposizione. Cavalca il tema Giuseppe Conte. «Questi qui sono in pieno delirio di onnipotenza. Facciano subito retromarcia su questa proposta e su queste intenzioni», attacca Conte, che parla del «ritorno di uno scudo che renda intoccabili esponenti del governo ed eletti». Per Walter Verini, senatore Pd, l'immunità «è irricevibile». «Con tutti i problemi che abbiamo è inaccettabile sentir parlare di immunità», pressa la capogruppo di Avs alla Camera Luana Zanella. Angelo Bonelli parla di «proposta indecente».
Resta il fatto che per cambiare la legge sull'immunità ci sarebbe bisogno dei due terzi del Parlamento, perché si tratta di una modifica costituzionale. «Sia il Parlamento a valutare il percorso migliore per riequilibrare i poteri», tira le somme il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, della Lega.
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