La rivincita di Contrada risarcito dallo Stato. "Un danno irreparabile"

Riceverà 667mila euro: ingiusta detenzione per circa 8 anni. "Nulla ripaga me e i miei cari"

La rivincita di Contrada risarcito dallo Stato. "Un danno irreparabile"

La rivincita, se di rivincita si può parlare visto che sono passati quasi 30 anni, arriva a 24 anni esatti dalla sentenza di primo grado che nel 1996 lo ha condannato. Settimana di Pasqua, come adesso. Allora era un venerdì santo, il 5 aprile, Bruno Contrada viene condannato in primo grado a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Oggi, martedì della settimana di Pasqua, la corte di Appello di Palermo stabilisce che Bruno Contrada, ex numero 3 del Sisde e superpoliziotto, è stato detenuto ingiustamente per quella sentenza e dispone un risarcimento di 667mila euro.

Una rivincita. Amara, visto che Contrada ormai ha 88 anni. Ne aveva 61 quando la sua odissea giudiziaria, tra le più lunghe e complesse della storia d'Italia, è cominciata: arresto il 24 dicembre del 1992, condanna nel '96 in primo grado, assoluzione nel 2001 in Appello, annullamento dell'assoluzione in Cassazione e poi nuovo processo d'Appello e nuova Cassazione. Condanna definitiva a dieci anni nel 2007. E poi il carcere, 31 mesi e sette giorni durante il processo di primo grado (dal 24 dicembre del '92 al 31 luglio del 1995), il resto in cella dal 2007 al 2012, ultima parte ai domiciliari. Dettaglio: 3 anni, 9 mesi e 20 giorni in cella, 4 anni, due mesi e 10 giorni a casa. «Mi dispiace - dice Contrada al Giornale raggiunto al telefono - che mia moglie Adriana non ci sia più. Io la richiesta di risarcimento nemmeno volevo farla, non c'è nessuna cifra che possa sanare quello che io e la mia famiglia abbiamo subito. L'ho fatta per i miei figli e per i miei nipoti. Oggi ho sentito che Papa Francesco ha pregato per chi ha vissuto una condanna per una sentenza ingiusta. Io sono tra questi».

Che quella condanna fosse «ineseguibile» e che quindi andava annullata lo ha stabilito nel 2015 una sentenza storica della Corte di Strasburgo, quella che ha detto che no, Contrada non poteva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, perché il reato si è consolidato nella giurisprudenza nel 1994, mentre a lui venivano contestati fatti antecedenti. Nulla poena sine legge, niente pena senza legge. Di qui l'iter che ha portato nel 2017 al reintegro in Polizia dell'ex 007 e adesso al risarcimento per ingiusta detenzione. Soddisfatto, anche se la richiesta della difesa era di circa 3 milioni, l'avvocato Stefano Giordano, il legale che negli ultimi anni ha seguito Contrada: «Al di là del quantum liquidato, la Corte d'appello, con un provvedimento libero e coraggioso ha statuito che Bruno Contrada non andava né processato né tanto meno condannato e che dunque non avrebbe dovuto scontare neppure un solo giorno di detenzione». Il legale però non esclude un eventuale ricorso in Cassazione.

Contrada però, barricato in casa anche per l'emergenza coronavirus («io però rispetto alle restrizioni sono corazzato dalla sofferenza della privazione della libertà per anni») non esulta. «A me per campare bastano 10, 15 euro al giorno, non mi importa dei soldi. Il risarcimento andrà ai miei due figli e ai miei quattro nipoti, che hanno sofferto con me. E penso a mia moglie, che è morta un anno fa, per lei sarebbe stata una bella giornata. Per quanto mi riguarda sono contento solo dell'ennesimo riconoscimento dell'ingiustizia subita. Di tutto quello per cui sono stato processato, condannato, umiliato, offeso, buttato via come un limone spremuto, non c'era nulla. Posso dire in coscienza che non mi rimprovero niente, nemmeno una contravvenzione stradale. E non provo rancore per nessuno. Disprezzo, quello sì, per altri che non sono stati all'altezza di esercitare determinate funzioni».

«Venti anni di vita stravolti e una carriera cancellata: per tutto questo però non c'è

prezzo», commenta la capogruppo di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini. E l'azzurro Giorgio Mulè: «Contrada è un martire della subcultura giustizialista di un processo penale che andrebbe riformato alla radice».

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