"Rivoluzione socialista e proprietà privata da abolire o limitare"

I passaggi controversi dello scritto del '41: "La democrazia? Peso morto"

"Rivoluzione socialista e proprietà privata da abolire o limitare"
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«La rivoluzione europea dovrà essere socialista». «La proprietà privata dovrà essere abolita, limitata, corretta». «Attraverso questo dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato».

Giorgia Meloni, concludendo la sua replica alla Camera, accende la miccia e cita testualmente alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene, il documento che promuove l'unità europea scritto nel 1941 da Altiero Spinelli (foto a sinistra, ex comunista, espulso dal partito per aver criticato i processi farsa del Terrore staliniano) ed Ernesto Rossi (foto a destra, militante del movimento Giustizia e Libertà, fondato da Carlo Rosselli). «Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia», è la chiosa della premier che ricorda che il Manifesto «a piazza del Popolo e anche in quest'aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti: spero non l'abbiano mai letto, perché l'alternativa sarebbe spaventosa». Il Manifesto di Ventotene - che aveva come titolo originale Per un'Europa libera e unita con la prefazione di Eugenio Colorni - nasce negli anni della dittatura fascista, con l'Europa schiacciata sotto il dominio della Germania di Hitler: i due intellettuali costretti al confino immaginano che si possa uscire da questa tragedia soltanto attraverso un rivolgimento che avrà carattere rivoluzionario, dato che la restaurazione dei vecchi Stati nazionali per quanto realizzata in forma democratica, ricreerebbe il contesto conflittuale che ha prodotto guerre e regimi totalitari. «Risorgerebbero le gelosie nazionali scrivono Spinelli e Rossi e ciascuno Stato nuovo riporrebbe le proprie esigenze solo nella forza delle armi». «La rivoluzione europea» insomma, «per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista». Poi il passaggio sulla proprietà privata che «deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente». Insomma una concessione, non un privilegio. Anche se, sempre nel Manifesto, in un altro passaggio l'idea della collettivizzazione socialista viene stemperata e non viene sposato «il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere abolita». Così come Spinelli e Rossi bocciano apertamente la prospettiva comunista, destinata a generare «un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia».

L'impianto insomma - di carattere socialista e federalista - pur essendo scritto da due figure come Spinelli e Rossi che avranno una evoluzione del loro pensiero nel corso dei decenni non mette certo la democrazia al centro del processo di rinascita. Ci sono altri passaggi che vengono citati da Giorgia Meloni. Ad esempio quello in cui il Manifesto sottolinea che «nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente». E ancora: «Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni». «La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria».

La presidente del Consiglio si sofferma anche sul modo in cui il Manifesto liquida la centralità della volontà popolare. «Il partito rivoluzionario attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell'ancora inesistente volontà popolare, ma dalla sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle informi masse.

Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia». Un progetto insomma figlio del suo tempo, informato di dirigismo e ideologia collettivista, diventato mito fondativo di un processo di costruzione europea destinato nei fatti a prendere una direzione ben diversa.

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