Romano sceglie la morte in Svizzera. Cappato lo aiuta e torna nella bufera

L'82enne affetto da una forma neurodegenerativa di Parkinson

Romano sceglie la morte in Svizzera. Cappato lo aiuta e torna nella bufera

Romano era creativo, instancabile e la sua vita l'aveva divisa tra la famiglia e il lavoro come giornalista e pubblicitario. Ma da due anni l'uomo, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, era affetto da Parkinsonismo atipico, una malattia che lo aveva costretto a letto, con dolori muscolari così forti da impedirgli di leggere, scrivere e fare qualsiasi altra cosa in autonomia.

Ieri è morto in Svizzera a 82 anni. Una morte cercata, voluta, tanto che i familiari si sono rivolti a Marco Cappato, che l'ha accompagnato alla clinica Dignitas, fuori dall'Italia, perché l'anziano non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e pertanto qui non era possibile per lui accedere al suicidio assistito.

«Mio marito Romano - aveva spiegato due giorni fa la moglie - è affetto da una grave malattia neurodegenerativa, una forma di Parkinson molto aggressiva che gli ha paralizzato completamente gli arti e che ha prodotto una disfagia molto severa che lo porterà a breve a una alimentazione forzata. Quando a inizio luglio Romano ha espresso in maniera molto responsabile e consapevole il desiderio di interrompere questa lunga sofferenza, ci siamo rivolti per informazioni all'Associazione Luca Coscioni e abbiamo chiesto aiuto anche a Marco Cappato». «Tutto questo per evitare problemi legali - ha ricordato la donna - visto che nel nostro paese non esiste un quadro legislativo chiaro sulla scelta del fine vita che è un diritto fondamentale dell'uomo. Adesso dopo un lungo viaggio molto faticoso per Romano, siamo arrivati in Svizzera e stiamo aspettando la visita del dottore. Se Romano davanti al dottore confermerà la sua decisione consapevole e responsabile già espressa, sarà libero di porre fine alle sue sofferenze».

Ieri la figlia Francesca, arrivata dalla California, in un video ha dato l'annuncio della morte del papà auspicando che «in Italia, presto, sia possibile per le persone poter fare questa scelta e morire a casa propria, circondate dalle persone care».

Per Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, si tratta dell'ennesima «disobbedienza civile» e oggi si autodenuncerà presso la stazione dei carabinieri in via Fosse Ardeatine 4 a Milano. L'ex radicale subirà un'altra inchiesta, ma questo non lo spaventa e promette che continuerà ad aiutare i malati che si rivolgono a lui per mettere fine alle loro sofferenze. «Ritengo indegno di un Paese civile continuare a tollerare l'esilio della morte in clandestinità di persone che patiscono sofferenze insopportabili e irreversibili - ha detto -. Sono passati 4 anni da quando la Corte Costituzionale la prima volta ha chiesto al Parlamento di intervenire in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale consentendogli ogni opportuna riflessione e iniziativa».

La Corte, intervenendo successivamente nel 2019 dinanzi all'inerzia del Parlamento, ha emesso poi una decisione che depenalizza l'aiuto al suicidio solo per malati in determinate condizioni verificare dal SSN. Ma al tempo stesso ha ribadito la richiesta di una legge completa, che rispetti le scelte di fine vita delle persone malate. «Ad agosto avevo ripreso l'azione di disobbedienza civile, accettando la richiesta di Elena Altamira di essere accompagnata in Svizzera, per superare la discriminazione contro i malati che, come Elena e Romano, non sono dipendenti da trattamenti sanitari - ha aggiunt Cappato -.

Ho deciso ora di accettare anche la richiesta di aiuto di Romano ed a evitare a lui un accanimento insensato e violento».

Elena, 69 anni, malata terminale di cancro era morta nella stessa clinica ad agosto. Per quel caso Cappato è indagato perché non rientrava nei casi previsti dalla sentenza di tre anni fa della Corte costituzionale.

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