Il rosso Mélenchon soffia sulla rivolta. Colletta per l'agente sopra il milione

Il leader della sinistra radicale accusato di prendersela con i poliziotti e di non appellarsi alla calma. "È un irresponsabile"

Il rosso Mélenchon soffia sulla rivolta. Colletta per l'agente sopra il milione
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«Non chiedo calma, chiedo giustizia». La ragione? «Non sono un prete, non sono un giornalista, non sono Mbappé, faccio quello che posso. Mi esprimo come un uomo politico, propongo cose razionali». Jean-Luc Mélenchon, leader radicale della sinistra con la sua France Insoumise (Francia indomita), si difende così dalle accuse di essere il politico che più sta soffiando sul fuoco della rivolta in Francia. Candidato alle ultime presidenziali, dove per un soffio ha sfiorato il ballottaggio con Emmanuel Macron, ma ne è rimasto fuori a causa del sorpasso di Marine Le Pen, Mélenchon da giorni, come da sempre, è una voce dissonante nel coro della politica francese sotto choc per i disordini nelle banlieue e l'attacco alle istituzioni, una voce che si è attirata le critiche non solo della destra, ma anche degli alleati di coalizione, socialisti e comunisti, riuniti in Parlamento sotto l'ombrello del Nupes (Nuova unione popolare ecologica e sociale).

«Non faccio appello alla calma, ma faccio appello alla giustizia. Sono i poliziotti che devono calmarsi, sono loro che hanno ucciso quest'uomo», è la frase pronunciata da Mélenchon quando il cadavere di Nahel, colpito a morte da un poliziotto a Nanterre, era ancora caldo mercoledì scorso. Un concetto ribadito nei giorni successivi, nonostante le critiche da quasi tutto l'arco parlamentare: «I cani da guardia ci ordinano di lanciare un appello alla calma», spiega Mélenchon, ma, al contrario, «la questione, per un uomo politico, non è di appellarsi alla calma, ma è di provare ad arrivare alla calma». Poi l'attacco alle forze dell'ordine: «La polizia ha delle responsabilità», «il potere politico non controlla più la polizia. È la polizia che fa paura al potere».

Parole che hanno indignato molti. Per primo il ministro dell'Interno, Gérald Darmanin, che grida alla «vergogna di chi non fa appello alla calma». Poi i diretti rivali di Mélenchon, la leader del Rassemblement National, Marine Le Pen, che accusa i rossi della France Insoumise «di richiamare chiaramente al disordine e alla violenza» e la destra moderata dei Républicains, con il suo presidente, Éric Ciotti, che nelle parole di Mélenchon legge «un appello alla rivolta» e definisce il partito della gauche radicale «un pericolo per la Repubblica». Si alza anche la voce di Fabien Roussel, segretario del Partito comunista francese, che prende le distanze da Mélenchon, senza nominarlo: «Quando si è di sinistra si difendono i servizi pubblici, non il loro saccheggio». Anche il leader dei socialisti, Olivier Faure, si smarca e invita «tutti gli eletti a partecipare al ritorno alla calma». Qualche collega socialista aggiunge: «Sono degli irresponsabili. Quando si aspira a governare, si aspira all'ordine repubblicano, non si può non fare appello alla calma».

Nel frattempo la colletta su GoFundMe, per il poliziotto che ha sparato, lanciata dal polemista di origine egiziana Jean Messiha, vicino al politico di estrema destra Eric Zemmour, ha superato il milione di euro, mentre quella per la mamma di Nahel viaggia intorno ai 260mila euro. Una raccolta fondi «che non aiuta la pacificazione», ha commentato la premier Elizabeth Borne. Come non ha aiutato che Mélenchon, di fronte alle devastazioni, abbia chiesto ai rivoltosi di non «toccare scuole, biblioteche o palestre» perché intanto, nonostante l'attacco al sindaco di Haÿ-les-Roses, «il rosso» ha continuato a ribadire che «calma non sarà la sua parola d'ordine.

D'altra parte, Mélenchon il radicale, che vuole la Francia fuori dalla Nato e che l'ex dirigente socialista Jean-Paul Huchon soprannominò con un irriverente gioco di parole «Méchant Con» (cattivo coglione), ha già soffiato sulle precedenti rivolte. Quella dei gilet gialli, chiedendo anche l'amnistia dei condannati per le violenze, e quella sulle pensioni, durante la quale ha denunciato la polizia per «consegne» di «infiltrare» le proteste e «lanciare pietre». Ora è riemersa la rabbia delle banlieue. Ed è anche in questo contesto, fra giovani e immigrati di seconda e terza generazione, che Mélenchon pesca i suoi voti.

«Viviamo in una forma di lotta di classe - spiega - I poveri si ribellano e i ricchi e i potenti li disprezzano, si sono inselvaggiti», dice Mélenchon che, dall'alto di un patrimonio di 2 milioni e mezzo di euro, fa parte di quell'1% di ricchi contro cui alza la voce.

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