Salvini, un altro Papeete. Ma il leader non molla. "Determinato come mai"

Il capo leghista dribbla il tracollo e guarda avanti: "Al governo con 100 parlamentari"

Salvini, un altro Papeete. Ma il leader non molla. "Determinato come mai"

Scalpita Matteo Salvini. Morde il freno e sbotta, ma non lascia, anche se la sua Lega ha dimezzato i voti rispetto al 2018. Non ci pensa proprio alle dimissioni, o meglio si rifiuta di pensarci. «Non ho mai avuto così tanta determinazione e voglia di lavorare», risponde a chi gli prospetta la possibilità di un passo indietro come segretario.

In realtà, è uno dei giorni più difficili della sua carriera politica. Il lunedì post elettorale più duro in assoluto, fra quelli che ha vissuto da segretario del Carroccio in questi quasi dieci anni. La Lega si è fermata all'8,8%, portando a casa 2 milioni e 400mila voti. Il confronto con i 9milioni e passa del 2019 è impietoso, ma erano 5 milioni e 700mila alle scorse politiche. Il tracollo è quasi innegabile, anche se Salvini prova a giustificarlo, o meglio a superarlo. «Ieri sera sono andato a letto incazzato», rivela, «ma stamane mi sono svegliato carico come una molla».

Tale è la smania di rimontare che, se potesse, passerebbe direttamente al giorno della prima seduta. «Sono cento tondi i parlamentari della Lega al lavoro da domani», calcola in conferenza stampa nella sede del partito in via Bellerio a Milano, dopo una nottata in cui né lui né gli altri esponenti del Carroccio hanno parlato.

Il segretario evidenzia che il suo è «il secondo partito del centrodestra» e se la gioca con il Pd come secondo in assoluto. Sottolinea che stare al governo con l'8% e un centinaio di parlamentari è meglio che avere il 18% per restare all'opposizione. Prova a lanciare il cuore oltre l'ostacolo, ma la debacle brucia e Salvini non vuole prendersi la colpa tutto da solo. Prova ad abbozzare un'analisi, che spiega anche il successo di Fratelli d'Italia: «Per la Lega - ammette - stare al governo con Pd, M5s e Draghi non è stato semplice, ma lo rifarei».

Il nodo è tutto lì, in quella assunzione di responsabilità di un governo che ha vissuto con insofferenza. Non rinnega la sua scelta sofferta di entrare in una maggioranza di «salvezza nazionale», ma rivendica anche la decisione di «staccare la spina». In qualche modo, torna quello del «Papeete», o sogna di poterlo tornare. «Non oso immaginare cosa sarebbero stati altri 9 mesi con un governo confuso e litigioso - aggiunge - il giudizio degli elettori è chiaro: hanno premiato coloro che hanno fatto opposizione e coloro che hanno fatto cadere il governo su un termovalorizzatore». «Ho anteposto l'interesse del Paese a quello del partito» rivendica, ma tutto il suo discorso sembra alludere a chi, nel suo partito, lo ha spinto a sostenere il governo Draghi. E il pensiero va a Giancarlo Giorgetti, il vicesegretario che nell'esecutivo uscente è stato ministro delle Sviluppo economico e garante di tutto un mondo produttivo con baricentro al Nord.

Salvini prova a guardare avanti. «Siamo con il 9% in un governo in cui saremo protagonisti - afferma - prima avevamo il doppio dei voti con un esecutivo che spesso ci viveva come fastidiosi, come comparse. Gli italiani hanno scelto la coerenza, se la Lega fa la Lega non ce n'è per nessuno e dove governiamo si vede».

Fissa un incontro con i presidenti delle Regioni. «Due ore di lavoro tra Matteo Salvini e i governatori della Lega - dirà nel pomeriggio il partito - per pianificare il futuro».

«È emersa unità di intenti su come coinvolgere tutti i territori, a partire da una assemblea programmatica nazionale per accompagnare la nascita del nuovo governo e mettere al centro proposte e priorità».

Il Capitano si dice fiducioso. «La Lega ha ampi margini di recupero», garantisce, e sembra il primo destinatario di questo slancio di ottimismo.

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