"Salvini boia", gli antagonisti indicano il nuovo bersaglio

I No-Tav rivendicano le minacce dirette al ministro che risponde: "Non mi faccio intimidire. Vado avanti"

"Salvini boia", gli antagonisti indicano il nuovo bersaglio

Viminale o Porta pia, per lui pari sono. Nel nome di una strana forma di par condicio, Matteo Salvini, fresco di insediamento al ministero delle Infrastrutture, finisce nel mirino della sinistra No-Tav. Ritratto come un «mostro», uno zombi, un boia. In una curiosa replica preventiva, stavolta - dell'odio riversato sul leader leghista all'epoca della linea dura sugli sbarchi.

A «salutarlo» è un odio geograficamente localizzato non più in Sicilia ma in Piemonte. E così ieri mattina, su un muro di cemento che costeggia la statale tra Villar Dora e Novaretto, tra Torino e la Val di Susa, è apparsa la scritta «Salvini boia. Ora e sempre resistenza. Avanti No Tav», condita da una stella rossa a cinque punte. Anche stavolta, a firmare il messaggio è «Cambiare rotta», l'organizzazione giovanile comunista che aveva già firmato il «benvenuto» a Roma al presidente del Senato La Russa, scritto «a testa in giù» sullo striscione, e che due giorni fa aveva organizzato il presidio alla Sapienza contro il convegno di Azione universitaria poi sfociato in scontri con la polizia.

«Le ruspe di Salvini arrivano al ministero delle Infrastrutture: ai nostri posti ci troverete, avanti No Tav!», recita un comunicato sul sito web dell'organizzazione, che bolla il governo Meloni come «uno dei peggiori Esecutivi che la storia della Repubblica abbia mai partorito: nostalgici del fascismo, razzisti, xenofobi, anti-abortisti e guerrafondai della peggior specie». E lo stesso Salvini come «uno di questi mostri». Di Tav Salvini ancora non ha parlato, ma gli attivisti contrari alla Torino-Lione si portano avanti con il lavoro, sicuri che al neoministro piaccia quell'opera, «in linea con il modello che ha in mente», ossia «grandi opere lasciate in mano alle infiltrazioni mafiose con un impatto ambientale devastante dal mare alle montagne».

Un saluto carico d'odio così repentino ha radici più vecchie, spiega lo stesso comunicato, ricordando i «decreti sicurezza» che hanno «criminalizzato il dissenso» e che sono «uno dei principali motivi per cui tanti No Tav, ma non solo, scontano misure repressive pesantissime». Il nuovo si unisce al vecchio, e nel mirino finisce il Salvini ministro dell'Interno come pure quello delle Infrastrutture, un po' in via preventiva e un po' come scotto per gli odiati «decreti sicurezza-immigrazione». Per i quali, va detto, Cambiare Rotta se la prende anche con l'altro Matteo, l'ex capo di gabinetto di Salvini e ora titolare del Viminale Piantedosi: non due esponenti del governo, insomma, ma «due boia che hanno fatto a pezzi i diritti e la dignità dei dannati della terra e di chi si organizza quotidianamente per strappare condizioni di vita e di lavoro migliori». Non dissenso, ma odio.

La replica di Salvini non si fa attendere. «Le minacce e i professionisti del No a tutto non ci fermeranno», ringhia il ministro e vicepremier.

«Sbloccare i cantieri significa dare lavoro a operai, artigiani e imprenditori, significa rendere l'Italia più moderna e sicura, significa inquinare di meno». Ma Cambiare rotta risponde a tono, ricordando che su quel progetto si sono avvicendati 11 ministri senza mettere a terra «neanche un binario: ci risulta difficile credere che proprio lei inverta questa rotta».

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