«Sono Luca». «Lo so che sei Luca». Paolo Mantovani aveva già capito che qualcosa non tornava. Bastava l'incipit. Era più padre, che padrone, per quel gruppo di ragazzi. Gli pareva di vederlo: Luca Vialli e il cespuglio di capelli ricci che si aggrovigliava intorno alle sue mani. Era una telefonata, ma forse più. Luca non era Mancio, geniale l'uno, terribilmente concreto l'altro: foss'anche per una telefonata. Mantovani aveva arricchito quel gruppo di ragazzi, ma non si parlava solo di soldi. Li aveva spinti a credere e osare. «Presidente non me la sento». «Luca, cosa non ti senti?». «Non me la sento di andare in ritiro». Mantovani non rispose, attese. «Ho bisogno di una settimana in più, staccare ancora qualche giorno». Vialli non era tipo da sceneggiata, la stagione si era chiusa con lo scoramento del mondiale di Italia '90. Mantovani sapeva bene che il ragazzo non parlava a caso: metteva dedizione e credo nel lavoro. E allora perché? Vialli intuisce cosa stia pensando il presidente. Gli serve un gol. «Se mi lascia una settimana, le prometto che vinceremo lo Scudetto». Mantovani si fida: Luca è arrivato alla Sampdoria nell'estate 1984 al posto di Chiorri. Mancini c'era già, aveva suggerito il suo nome, ma ormai il capo sembrava l'altro. E Mancio il genio di compagnia. Insieme vinceranno la coppa Italia a fine stagione. Non si staccheranno più dall'immagine di tutta Italia che li ha scoperti gemelli. Mantovani lo asseconda: «Va bene, se la promessa è valida non posso dirti no». «È valida», risponde Luca. E quell'anno la Sampdoria vinse lo scudetto, stagione '90-'91. Questa puntigliosa cronaca di un sogno è stata firmata proprio da Vialli. E poi furono capelli dipinti di biondo e orecchini, il segno della felicità dei ragazzi della via Samp.
Oggi Luca non c'è più, ma continuiamo a credere che Luca, Mancio, Fausto (Salsano), Beppe (Dossena), Moreno (Mannini), Marco (Lanna), Pagliuca, Ivano (Bonetti), Toninho, Attilio (Lombardo), Katanec, Mycha, Pelle(grini) il capitano siano ancora insieme. Sono quelli della bella stagione. Vialli li ricordava così. Il 5 maggio 1991 la partita decisiva con l'Inter. Mancio espulso, Dossena segna il primo gol, Pagliuca para un rigore a Matthaus, finché Luca appollaiato sulla sinistra circumnaviga Zenga dimenticandosi di essere suo amico, e disegna il 2-0 che conferma la promessa a Mantovani. «L'avevo detto a Zenga: stavolta ti faccio gol».
A Genova, Vialli è stato tutto questo e molto di più: guascone e trascinatore, goleador e porta borracce. E la Samp la sua fidanzata di allora. Assecondava Mancini, ma quando litigavano toccava al Mancio servirgli un assist-gol per far pace. Credeva in quei colori, sebben abbia provato a inventarsi, al solito con Mancio, la terza maglia di un rosso che intonava il fuoco per vincere. Giocava come viveva: con la voglia di divertirsi. Era la Samp dei sette nani: Luca detto Pisolo per il vezzo del pisolino, Mancio battezzato Cucciolo. Dormivano insieme, poi Mancini lo cacciò dalla camera: russava troppo per una frattura al naso. In compenso Luca segnò reti che erano pietre: ne scodellò 19, valsero lo scudetto e il titolo di capocannoniere. Altri servirono nelle coppe, il centesimo della carriera (anno 1988) fu il primo in una coppa europea. Evitò di votarsi ad altro club (Milan di Berlusconi), finchè lo scudetto non arrivò a Genova. L'ultima partita fu quella della gran delusione.
A Wembley lo stadio del sogno suo e di Mancio, la finale di coppa dei Campioni contro il Barcellona: tante occasioni da gol ma un destino già scritto. La storia finì da Edilio, il ristorante dei ritrovi: Vialli annunciò ai compagni che sarebbe andato alla Juve. E tutti piansero.
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