Fuoco incrociato tra le due sponde dell'Atlantico. Donald Trump, come promesso, alla mezzanotte di ieri ha fatto scattare il primo blocco di sanzioni contro l'Iran, ripristinando alcune delle misure che erano state eliminate con l'accordo sul nucleare firmato nel 2015. «Le sanzioni iraniane sono ufficialmente partite. Sono le più pungenti mai state imposte e in novembre aumenteranno ancora. Io chiedo la pace nel mondo, niente di meno», tuona su Twitter il presidente americano. Poi lancia un nuovo avvertimento: «Chiunque farà affari con l'Iran non farà affari con gli Stati Uniti». Un monito che non piace affatto al Vecchio Continente. L'Ue «si rammarica profondamente» per la reimposizione delle sanzioni Usa contro Teheran, ed è «determinata a proteggere» le aziende europee che fanno affari con l'Iran, fanno sapere in un comunicato congiunto l'Alto Rappresentante della politica estera Federica Mogherini e i ministri di Germania, Francia e Regno Unito. E durante un viaggio a Wellington, in Nuova Zelanda, Mogherini ribadisce: «Stiamo facendo del nostro meglio per mantenere Teheran nell'intesa e per preservare i benefici economici che questa porta al popolo iraniano, perché crediamo che sia nell'interesse della sicurezza non solo della nostra regione, ma anche del mondo». «Se c'è una parte degli accordi internazionali sulla non proliferazione nucleare che viene rispettata, deve essere mantenuta», continua. Quindi calca la mano, lanciando indirettamente una stoccata a Trump: «Stiamo incoraggiando soprattutto le piccole e medie imprese ad aumentare gli affari in e con l'Iran, come parte di qualcosa che per noi è una priorità per la sicurezza». Se l'Europa si mostra compatta e decisa a contrastare le mosse dell'America, l'Italia rimane al momento più defilata a causa del potenziale imbarazzo che si verrebbe a creare con la Casa Bianca, data la sintonia stabilita tra Trump e il premier Giuseppe Conte anche durante la sua visita a Washington. La prima tranche di sanzioni che gli Stati Uniti hanno fatto scattare ieri contro Teheran riguarda tra le altre cose l'acquisto o l'acquisizione di dollari da parte del governo iraniano e il commercio di oro e altri metalli preziosi, grafite, alluminio, acciaio, carbone e software usati nel settore industriale. Ad essere colpite sono anche le transazioni legate al rial, la valuta iraniana, e le attività relative ai titoli di stato iraniani, oltre a misure restrittive sul settore dell'auto. Mentre il prossimo 5 novembre, come ha già confermato l'amministrazione Trump, arriverà un'altra stangata - ancora peggiore - con una stretta su settori strategici per l'economia della Repubblica Islamica come quello petrolifero e bancario. Il Commander in Chief, però, porta avanti come già accaduto in passato un doppio binario, e se da un lato affonda la lama, dall'altro apre al dialogo, dicendosi ancora una volta pronto ad incontrare il presidente Hassan Rohani in qualunque momento. Un'offerta che il leader di Teheran ha già rispedito al mittente: «I negoziati non vanno d'accordo con le sanzioni», risponde, parlando di «guerra psicologica» voluta dal tycoon. Il falco John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale Usa, ribadisce invece che lo scopo delle sanzioni non è quello di provocare un zcambio di regime» in Iran. «Vogliamo massima pressione sul governo - spiega - e non è solo per tornare a discutere la correzione di un accordo che fondamentalmente non è correggibile».
«Vogliamo vedere una ritirata molto più ampia di Teheran dal sostegno al terrorismo internazionale - precisa - dall'attività belligerante in Medio Oriente e dal programma di missili balistici legati al nucleare. Stanno accadendo molte cose per cui l'Iran deve essere ritenuto responsabile».
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