Jens Stoltenberg si appella alla coscienza di ogni singolo Paese, Sergej Lavrov sostiene che il Segretario Nato abbia oltrepassato la soglia dei propri poteri, mentre Volodymyr Zelenzky incassa un prezioso sostegno in armi dalla Spagna, ma deve fare i conti con Viktor Orbán, che teme l'escalation e pone il veto sugli aiuti Ue a Kiev. Quella di ieri è stata una giornata complessa, dove il braccio di ferro sui tavoli della diplomazia ha finito per prevalere sulle vicende di campo.
Partendo proprio dalla fine, Mosca avanza nel Kharkiv: ha conquistato altri chilometri preziosi verso il capoluogo, fagocitando il villaggio di Ivanivka. Si prende anche un pezzetto di Donetsk (la località di Netailove), ma perde uno dei suoi ufficiali più preziosi, il colonnello Yevhenii Rytchenko, ucciso nel corso di un bombardamento nel Luhansk.
Stiamo comunque parlando di un tira e molla di pochi chilometri e di qualche trincea, mentre nelle stanze dei bottoni si decide il futuro dell'Ucraina, e forse non solo. Dicevamo di Stoltenberg, che ha abbassato l'asticella, mostrandosi meno intransigente e spiegando che «spetta agli alleati decidere sulle restrizioni all'uso delle armi consegnate a Kiev. Questa non è una decisione della Nato, ma va presa dai singoli Paesi». L'Ue vorrebbe davvero fare il possibile e altro ancora per l'Ucraina, tant'è che la Spagna, che ieri ha ospitato Zelensky, ha firmato un accordo per aiuti pari a 1,1 miliardi, ma come accade a ogni piè sospinto il presidente ungherese Orbán blocca la creazione del fondo di assistenza per quasi 8 miliardi di euro. Germania, Francia e Lituania non le mandano a dire a Orbán, parlando di «situazione imbarazzante da risolvere rapidamente», e Borrell dice «non si possono tenere gli aiuti in ostaggio», ma il leader ungherese non si convince neppure a sostenere il nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca. La possibile vendetta di Putin spaventa la Polonia, che porta avanti i lavori di rafforzamento dei suoi confini a est e la Lituania, che teme attacchi terroristici nei Paesi Nato. A Kiev il comandante in capo dell'esercito, Oleksandre Syrsky, annuncia che la Francia invierà «presto» i primi istruttori militari in Ucraina per addestrare le truppe: «Ho già firmato i documenti che permetteranno ai primi istruttori francesi di visitare i nostri centri di addestramento nel prossimo futuro e di familiarizzare con le infrastrutture e il personale».
In queste ore ci si aggrappa al vertice di pace a Lucerna (l'Ue pensa a un nuovo summit a settembre), dove Mosca non parteciperà e Pechino nemmeno. Xi Jinping ha in mente un tavolo di trattative, ma con Russia e Ucraina come attori esclusivi, affiancati da qualche mediatore. Anche ieri Macron (che manderà istruttori militari) ed Erdogan non hanno fatto mancare la loro disponibilità a sostenere una linea di dialogo. Ma Medvedev fa crollare i già fragili equilibri: «Sarà guerra mondiale se gli Usa ci attaccheranno».
Nell'824° giorno di campo tre persone sono state uccise e sei ferite in un attacco russo nella regione meridionale di Mykolaiv.
Un drone dell'intelligence militare di Kiev ha attaccato la stazione radar di Orsk, nella russa Orenburg, dopo aver percorso oltre 1.800 km. Un jet ucraino è stato abbattuto nel distretto di Volchansky. Il numero delle persone decedute dopo l'attacco di sabato all'ipermercato a Kharkiv è salito a 18, i feriti sono 48.
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