L'ex presidente della Repubblica francese è formalmente indagato. La destra d'Oltralpe piomba nel caos. Lui si ritrova sotto controllo giudiziario e dovrà ora affrontare un delicatissimo processo per finanziamenti illeciti provenienti dalla Libia di Gheddafi per la sua campagna elettorale del 2007, corruzione passiva e occultamento di fondi pubblici libici.
Le 48 ore di stato di fermo disposte per l'ex inquilino dell'Eliseo erano cominciate martedì, interrotte dall'anticorruzione solo per fargli passare la notte a casa prima di chiudere il cerchio. Mentre Sarkozy continuava a negare, gli indizi di colpevolezza continuavano a rimbalzare a più riprese. L'anticorruzione ha ascoltato Sarkozy per 27 ore, giudicando a fine serata sufficienti gli elementi raccolti durante l'interrogatorio.
Finirà presto davanti a un magistrato in qualità di imputato. I reati contestati vanno oltre i 5 milioni in contanti contestati per la campagna elettorale con cui raggiunse l'Eliseo. Ci sarebbero «plausibili ragioni per sospettare, più precise delle precedenti» altri reati. L'ufficio anticorruzione ha preso tempo, prima di iscrivere Sarkò nel registro degli indagati. Intanto montava la polemica su uno stato di fermo light, mentre uno dei testimoni chiave dell'inchiesta, Zied Takieddine, ribadiva in tv la sua versione: «Ho consegnato tre valigie piene di soldi». La prima con un milione e mezzo e la seconda con due milioni all'entourage di Sarkozy; la terza valigia con un milione e mezzo direttamente a lui. Quel denaro, aggiunge, «non era per la sua campagna elettorale, che è stata finanziata diversamente».
L'ex premier Jean-Pierre Raffarain parla di «volontà di umiliare» degli inquirenti: «Quando c'è di mezzo la politica, la nostra giustizia non sembra serena«. Poco prima della decisione, Marine Le Pen sbandierava ancora il vessillo del garantismo: «I media tendono a dimenticare che esiste la presunzione d'innocenza per chi viene accusato di qualcosa». La presidente del Front National mette in discussione la «neutralità» di certi magistrati.
In particolare, Serge Tournaire, uno dei giudici incaricati del dossier libico, che di Sarkozy si è già occupato rinviandolo a giudizio l'anno scorso per l'affaire Bygmalion sulle false fatturazioni. A deflagare sono però le nuove dichiarazioni tv di Takieddine, l'uomo d'affari che fece da intermediario tra Tripoli e Parigi. A cui si aggiungono quelle del cugino di Gheddafi che ieri ha parlato a Rainews confermando l'impianto delle altre testimonianze.
La famiglia politica gollista è dilaniata dal dubbio. Un'incriminazione per tangenti sarebbe disastrosa. E il partito ieri ha cominciato a smarcarsi. Niente più uno per tutti, tutti per uno. Niente più D'Artagnan né moschettieri. A parte i fedelissimi dell'ex leader sconfitto alle primarie del 2016 e oggi è uscito dalla scena politica silenzio.
D'altronde l'indagine ha già avuto ripercussioni internazionali, facendo
ipotizzare che l'operazione francese in Libia nel 2011 fosse una guerra privata di Sarkozy per cancellare scomode verità. Sarkozy ha sempre negato finanziamenti libici. La base Les Republicains gli resta fedele. Fino a quando?
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