«Cu è ca morsi?» («Chi è che è morto?»). C'è ancora chi finge di non sapere. Matteo Messina Denaro anche da morto continua a essere temuto. E per la legge non scritta del «nenti sacciu e nenti vuogghiu sapiri» (niente so e niente voglio sapere, ndr) ha potuto trascorrere 30 anni di latitanza, vivendo, tra viaggi e bella vita, pure nel suo territorio, non lontano dalla famiglia e circondato da fedeli sodali che lo hanno coperto così come hanno fatto quelli che sapevano fingendo di non sapere.
Ma in tanti, oggi, prendono le distanze. Alla sua terra «ha fatto tanto male» dice il sindaco di Castelvetrano, Enzo Alfano, per il quale è iniziato un «capitolo nuovo, parte di un percorso già avviato, che deve continuare a condurre alla piena consapevolezza di chi era Matteo Messina Denaro: un assassino, uno stragista, e deve potarci a essere antimafiosi per eccellenza». Anche Giuseppe Castiglione, sindaco di Campobello di Mazara, la città in cui l'ex primula rossa ha vissuto gli ultimi anni di latitanza, parla di «ferite profondissime e mortali» inflitte al territorio.
Giuseppe Cimarosa, figlio di un cugino acquisito del padrino, oggi come ieri palesa il suo dissenso alla mafia. Fu lui a convincere il papà Lorenzo, arrestato per mafia nel 2016, a collaborare con i magistrati. «Ecco la fine che fanno i mafiosi: muoiono in carcere dice - Avrebbe dovuto scontare più a lungo la pena, sperando che, facendosi un esame di coscienza, iniziasse a collaborare con la giustizia». E su Lorenza, la figlia biologica del capomafia che, all'ultimo, si è avvicinata al padre, dice: «Ha perso un'occasione per dissociarsi». Cimarosa è «sgomento» per le centinaia di messaggi di cordoglio sui social. «Sono tanti, troppi dice - Messaggi terribili, ancora di più perché non si tratta di coetanei del boss, tanti sono ragazzi. È atroce». Atroce come il male che il boss ha seminato. Tra gli altri, resterà indelebile il racconto della fine del piccolo Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero, strangolato e sciolto nell'acido. «Da credente non avrei potuto augurargli la morte commenta Nicola Di Matteo, fratello della piccola vittima - Ma se fosse rimasto in vita sofferente avrebbe forse capito il dolore enorme che ci ha inflitto. Il perdono è impossibile». Eppure c'è chi è riuscito a scrivere sui social: «A me dispiace tanto perché io non giudico nessuno se non vedo» e si dice «dispiaciuta per la tua morte perché il bene c'è sempre».
Per Roberto Saviano «l'Italia continua a essere un Paese a vocazione mafiosa». «Quello che ha detto è una cosa vergognosa gli risponde Rita Dalla Chiesa, vicepresidente dei deputati di Fi - Siamo un Paese che ama la legalità, che vuole vivere nella legalità, che lotta per la legalità. Lottasse anche lui». «È morto sotto la custodia dello Stato. E questo è un potente simbolo di una grande vittoria dello Stato sulla Mafia dice la senatrice Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva - Saviano ha insultato il popolo italiano e quei servitori dello Stato che hanno rischiato e perso la vita». Sui social diversi commentano il cordoglio con un: «Vergognatevi» e un utente scrive: «Rinnovo le mie condoglianze a tutte le vittime».
«Se fossi credente, visto che non c'è stata una giustizia in terra, potrei confidare in una divina, purtroppo da laico non posso sperare neppure in quella - dice Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo - L'arresto di Matteo Messina Denaro non è stata una vera e propria cattura, sapeva di essere malato e ha pensato di farsi curare dallo Stato invece che in latitanza. Oggi si porta i suoi terribili segreti nella tomba». E ancora: «La mafia non è stata sconfitta, anzi. Si è insinuata nell'economia, nelle amministrazioni, si è resa invisibile e, per questo, è più pericolosa». Anche Giuseppe Costanza, autista del giudice Giovanni Falcone, «Cosa nostra non si esaurisce con la sua morte. Occorre continuare a indagare per arrivare alla verità sulle stragi e i mandanti».
La salma arriverà a Castelvetrano dopo l'autopsia, disposta dalla procura de L'Aquila, di concerto con quella di Palermo. Sarà sistemata nella cappella di famiglia accanto al padre, il boss don Ciccio. Niente funerali religiosi ma una veloce cerimonia di tumulazione.
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