All'indomani della vittoria di Damiano Tommasi, che riconsegna dopo quindici anni le chiavi della città di Verona al centrosinistra, Flavio Tosi non usa mezzi termini per commentare una sconfitta figlia delle divisioni. «Federico Sboarina ha scelto di perdere - spiega l'ex primo cittadino scaligero - e la responsabilità politica di questo risultato è chiara».
A chi si riferisce?
«È stata Giorgia Meloni ad impuntarsi sul candidato sbagliato, come è successo anche a Catanzaro e a Parma. Dico sbagliato perché se al primo turno un sindaco uscente prende il 32% vuol dire che qualche problema nell'amministrazione della città lo ha avuto. E poi non ha saputo gestirlo».
In che senso?
«Rinunciare al 23 per cento dei voti è stato irragionevole. È vero che io e Sboarina non siamo in buoni rapporti, ma sono un uomo di partito e consideravo il primo turno come una sorta di primaria: se uno dei due va al ballottaggio l'altro lo sostiene. Il 13 giugno gli ho offerto l'apparentamento dicendo che il risultato era pericoloso».
Cosa le ha detto?
«Mi ha risposto con arroganza che avrebbe vinto da solo. Gli ho scritto anche la sera del 18, il giorno prima della scadenza. Mi ha detto che l'obiettivo doveva essere quello di far prendere meno seggi possibili al centrosinistra in consiglio comunale. Ma bisognava vincere. A parti inverse io avrei accettato».
Poi avreste dovuto governare assieme.
«Il sindaco sarebbe stato lui. Nel mio primo mandato avevo tutti i partiti del centrodestra alleati e non mi sentivo commissariato. Un sindaco che ha questa paura è un sindaco debole e quindi sbagliato».
Perché insiste con questo aggettivo?
«In questi anni Sboarina ha bloccato la città. A novembre scorso era uscito un bando di fondi del Pnrr da 4,3 miliardi sul trasporto pubblico per i comuni con più di 100mila abitanti: Padova ha partecipato e si è portata a casa 335 milioni per la mobilità, mentre Verona è rimasta a guardare».
Le divisioni si possono ricomporre?
«Il problema è che la Meloni rivendica la leadership perché ha più voti, ma il premier non è automaticamente il capo del partito più forte, altrimenti Marine Le Pen farebbe il primo ministro in Francia. Il premier deve essere una figura europeista, atlantista, pragmatica e non populista. La Meloni ha tanti voti ma non ha queste caratteristiche».
E chi sarebbe la persona adatta?
«Non sono io a fare i nomi, ma se Draghi dovesse farsi una tessera di partito sicuramente sarebbe quella di Forza Italia. Siamo noi il riferimento del centrodestra europeo e di quell'area liberale e riformista che è maggioritaria nel Paese. Dopo la pandemia è cambiato il modo di votare, oggi i cittadini vogliono responsabilità, serietà e competenza».
A proposito, come vi comporterete in consiglio comunale?
«Come minoranza continueremo ad essere pragmatici e così giudicheremo la politica che porterà avanti Damiano Tommasi, facendo l'interesse della città, anche dall'opposizione».
E il suo futuro come lo vede?
«Ho sulle spalle anni di lavoro sul territorio, esperienza ed entusiasmo che ora sono a disposizione di Forza Italia e del presidente Berlusconi. Poi sarà il partito a decidere come spenderli».
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