Cosi Guenther torna a casa. Dopo 52 anni anche l'ultimo passo è stato fatto. A compierlo uno scarpone arrivato dal passato, riemerso dai ghiacci con la tomaia e le stringhe quasi integre, solido monito e fragile insieme, a ricordare una tragedia che in troppi hanno travisato e strumentalizzato. I fratelli Messner alla conquista degli 8126 metri del Nanga Parbat è stata una delle imprese himalayane del secolo scorso, ma solo il grande Reinhold, all'epoca al primo Ottomila della sua immensa carriera, ha potuto raccontarla. Guenther, morì in discesa, fiaccato nelle forze e travolto dal maltempo.
Il più giovane dei Messner oggi avrebbe 75 anni - non se n'è, però, mai andato dal cuore e dalla mente del più famoso fratello alpinista che lo ha cercato sempre. Prima per quei 3 giorni terribili del giugno 1970, quando la bufera e una valanga lo inghiottirono sul Nanga Parbat e poi per un altro buon mezzo secolo, per gridare la sua verità, l'unica possibile, quella, cioè, che un fratello non poteva aver abbandonato l'altro fratello. Perché Caino e Abele possono anche esistere in molti di noi, ma non vanno in montagna insieme né, tantomeno, si legano in cordata. Ieri, attraverso i social è stato lo stesso alpinista altoatesino a dare la notizia: il secondo scarpone di Guenther è stato ritrovato sul ghiacciaio del Diamir. La gente del posto ha sempre creduto e aiutato Messner nella sua ricerca di Guenther e della verità. Così era andata anche nel 2000 quando furono ritrovati e primi resti che, all'analisi del Dna, avevano dato i primi riscontri. Poi nel 2005 il corpo di Guenther era riemerso dal ventre di ghiaccio del monte su a 4.600 metri. Messner riconobbe vestiti, capelli e quel primo scarpone, gemello di quello appena ritrovato.
Guenther era li, esattamente dove Reinhold aveva detto di aver visto per l'ultima volta il fratello. Lui lo aveva cercato e poi, ormai allo stremo, era riuscito a scendere, verso valle, dove era stato avvistato, ormai con importanti congelamenti, e soccorso da alcuni sherpa locali, mentre, invece, i compagni di spedizione con la regia e il pugno di ferro del tedesco Karl Maria Herligkoffer - se n'erano già andati, ritenendo impossibile che i due Messner si fossero salvati dopo 6 giorni di scalata senza ne avvistamenti ne segnali. Quei «compagni» di li a poco sarebbero stati gli stessi ad accusare proprio lo stesso Reinhold di aver abbandonato Guenther al suo destino. E nemmeno in discesa, ma ancora in salita, sull'altro versante della montagna. Per pura sete di gloria e primati. «Mi chiamarono fratricida. È stato un crimine. Ora vivo in pace, ma la ferita non si chiuderà mai», ha sempre ripetuto Messner che, a 77 anni compiuti, fino a 6 giorni fa, si trovava in Nepal per alcuni progetti.
Quando nel 2005 i resti di Guenther furono trovati, Messner aveva deciso di cremarli, seguendo le usanze locali, ma alcune ossa e quel primo scarpone furono riportati in Italia per ulteriori analisi con cui Messner intendeva fugare ogni dubbio e placare le polemiche. Ora è tornato il sereno, almeno nel cuore del grande Reinhold.
«Il ghiacciaio ha consegnato il secondo scarpone che mancava, ora non ci sono dubbi, è un'altra prova di quello che purtroppo è realtà per tutti quelli che hanno sognato di infamarmi affermando che io avessi non ucciso, ma quasi, mio fratello. Per 50 anni mi hanno messo sulla graticola, ora non mi arrabbio più».
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