Uno scontro diplomatico senza precedenti, un botta e risposta insolito, con accuse incrociate e nervi a fior di pelle. Da un lato il falco di Donald Trump, Mike Pompeo, Segretario di Stato americano arrivato ieri mattina a Roma, e dall'altro il «Ministro degli Esteri» della Santa Sede, l'arcivescovo inglese Paul Richard Gallagher che ha partecipato a un simposio sulla libertà religiosa, organizzato dall'Ambasciata americana presso la Santa Sede, insieme a Pompeo e al Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. Sullo sfondo la trattativa in fase di rinnovo biennale tra Santa Sede e Cina per la nomina dei vescovi cattolici, aspramente criticata da alcuni alti prelati, come l'arcivescovo emerito di Hong Kong, ma soprattutto dagli americani, alla vigilia del tour italiano del braccio destro del tycoon. «Il governo Trump strumentalizza il Papa ed è questa una delle ragioni per cui Francesco non incontrerà Pompeo», ha tuonato Gallagher, visibilmente irritato a margine del convegno. Accuse molto forti che confermano quanto già circolato nei giorni scorsi ufficiosamente: cioè che Francesco non avrebbe voluto concedere udienza, come successo invece lo scorso anno, a Pompeo, preferendo che ci fossero colloqui soltanto a livello diplomatico, per evitare un'esposizione della propria immagine a poco più di un mese dall'infuocato voto per le presidenziali americane che vede Trump impegnato a sfidare il democratico Joe Biden. Una tesi, quella dell'udienza negata, confermata anche dal segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, che rispondendo alle domande dei giornalisti ha chiarito: «Il Papa va tenuto fuori dalla campagna elettorale americana: Pompeo aveva chiesto un incontro col Santo Padre, ma il Papa aveva detto chiaramente che non si ricevono personalità politiche durante la campagna elettorale, d'altra parte un segretario di Stato incontra il suo omologo, appunto il segretario di Stato». Poco prima, però, Pompeo dal palco del simposio, aveva lanciato l'ennesima frecciata alla diplomazia della Santa Sede, elogiando da un lato la figura di Giovanni Paolo II e invitando dall'altro Francesco a mostrare più coraggio nei confronti di Pechino nel combattere le persecuzioni religiose, aggiungendo: «Nessuno più della Cina attacca la libertà religiosa». Un'accusa di debolezza nei confronti del governo di Xi Jinping che Pompeo aveva già sottolineato qualche giorno fa quando su Twitter aveva lanciato il primo avvertimento: «Rinnovare l'accordo con la Cina significherebbe per il Vaticano rinunciare alla propria autorità morale». Nessun commento era filtrato allora dalle stanze d'Oltretevere, ma la risposta è arrivata sempre ieri, direttamente dalla viva voce del capo della diplomazia vaticana: «Siamo sorpresi per questa uscita che non ci aspettavamo, anche se conosciamo bene da molto tempo la posizione di Trump e del segretario Pompeo in particolare. La trattativa con la Cina va avanti», ha chiarito Parolin, «da parte nostra c'è questa volontà. Quanto alla libertà religiosa, se non fossimo i primi a difenderla e a promuoverla, verremmo meno al nostro compito e non avremmo motivo di esserci». L'accordo con Pechino, in effetti, dovrebbe essere formalizzato già intorno a metà ottobre, «siamo alle battute finali», commentano dal Vaticano, ignorando di fatto le pressioni che continuano ad arrivare da Washington.
Un chiarimento tra la Santa Sede e gli Stati Uniti d'America arriverà però senza dubbio questa mattina quando il Segretario di Stato americano raggiungerà il Vaticano per un colloquio con Parolin e con Gallagher.
Al centro dell'incontro ancora il tema della libertà religiosa, così come ha confermato il braccio destro di Papa Francesco, porgendo un ramoscello d'ulivo a Pompeo: «Ci incontreremo e ci sarà modo di confrontarci anche su queste tematiche».
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