«Lesa maestà»: così i critici descrivono la reazione di Elly Schlein alle polemiche interne post-Liguria. La segretaria, che in pubblico sorride olimpica e «testardamente unitaria», in privato ha fatto sapere, a chi nel suo partito ha sollevato problemi sulla linea (o mancata tale), di non aver apprezzato per nulla, e di considerarlo un atto riprovevole «mentre abbiamo partite importantissime aperte».
Una velata accusa di sabotaggio, unita ad un richiamo: invece di criticare lei, tutti si impegnino «pancia a terra» e bocca chiusa per le prossime elezioni. I suoi osservano con sospetto i conciliaboli tra correnti (ieri avvistati in un angolo del Transatlantico Lorenzo Guerini e Dario Franceschini). «E pensare che le abbiamo garantito per mesi una pax interna che nessun altro segretario ha avuto», lamentano dalla minoranza.
Ora il rischio, sintetizza con humour nero un esponente Pd, è che «tra venti giorni ci ritroviamo asserragliati nel Ridotto dell'Emilia Romagna», e sempre senza una coalizione. Si vota lì e in Umbria, ma la speranza di strappare la seconda alla maggioranza meloniana si è fatta assai evanescente, con gli ultimi sondaggi che vedono in testa l'uscente Donatella Tesei e con un centrodestra galvanizzato dalla vittoria inaspettata di Marco Bucci e arricchita elettoralmente dal contributo del rumoroso sindaco di Terni, Stefano Bandecchi. Mentre lo spezzettato e litigioso centrosinistra continua ad essere «un cubo di Rubik» (immagine coniata da Andrea Orlando) i cui colori non si allineano mai, e la candidata Pd Stefania Proietti per ora non sembra sfondare. «La matematica non è dalla nostra parte», dice un dirigente umbro.
Dopo le Europee, la leader dem si era spinta a sognare uno spettacolare «triplete» nelle regionali d'autunno, con conseguente «spallata» al governo Meloni. Uscirne con la sola conferma - che tutti danno per scontata, anche nel centrodestra - dell'Emilia Romagna sarebbe il primo, duro colpo alla sua leadership e all'immagine da vincente che si è ritagliata. E complicherebbe non poco la già difficile partita del 2025, quando andranno al voto regioni come la Toscana e la Campania.
Matteo Renzi, rimesso ampiamente in partita dal pasticciaccio ligure, già si diverte a avvisare i naviganti: «Schlein faccia quel che crede, ma sappia che senza di noi, in quelle due regioni, la vittoria non la vedono nemmeno col binocolo». In Campania, dove Enzo De Luca (in ottimi rapporti con Renzi, che lì conta circa l'8%) cerca il terzo mandato e minaccia di candidarsi comunque, Schlein vuole premiare Giuseppe Conte per la preziosa collaborazione, offrendo la candidatura al suo Roberto Fico. «Preferisce perdere la Campania che perdere la faccia», assicura un dirigente Pd. In Toscana gli schleiniani Marco Furfaro o Emiliano Fossi scalpitano per sostituire, da sinistra, l'attuale governatore «moderato» Eurgenio Giani. Ma anche lì fare i conti senza l'ex sindaco di Firenze è rischioso, tanto più che i 5S praticamente non esistono. Tutto ancora in altissimo mare.
Intanto, nonostante i richiami all'ordine
della segretaria, la discussione è aperta: «È necessario non assecondare i veti 5S - dice la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno - Ci manca un'offerta politica riconoscibile, che parli anche al ceto medio».
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