Scuola, cultura, impresa. Così si può sfidare l'egemonia della Cina nel Sud del mondo

Riaprire l'insegnamento italiano in Etiopia e Somalia può servire a formare classi dirigenti amiche. L'impegno in Mozambico dove opera l'Eni e il lavoro di 6mila missionari in gran parte italiani

Scuola, cultura, impresa. Così si può sfidare l'egemonia della Cina nel Sud del mondo

La prima volta che vidi pagare il conto di un ristorante con il telefonino non fu nè a Milano, nè a New York, ma a Mogadiscio. Era il 2013 e la città era un distesa di macerie. In quell'inferno a cielo aperto un attentatore suicida aveva appena fatto strage in un hotel non diverso da quello in cui stavo pranzando con un paio di anziani commercianti dell'ex-colonia. Quando fu il momento di pagare il cameriere schifò la mia manciata di euro e sorrise al cellulare allungato dal Mohammed al fianco. In un beep il conto fu saldato e Mohammed non esitò a spiegare. «Nessuno vuole i contanti...i banditi sono ad ogni angolo e hotel e ristoranti sono i loro obbiettivi. Meglio far tutto con i telefonini». Il pranzo mi è tornato in mente leggendo l'articolo del Corriere della Sera in cui Federico Rampini ricorda che «quasi mezzo miliardo di consumatori del continente paga col telefonino, usando piattaforme tecnologiche lanciate da talenti local». Un esempio che spiega la complessità e la diversificazione sociale e tecnologica di un'Africa in cui l'Italia di Giorgia Meloni punta a tornare protagonista grazie al Piano Mattei. In virtù di questa complessità è illusorio pensare che gli incontri previsti da «Un ponte per la crescita comune» - la conferenza internazionale ospitata tra oggi e domani a Palazzo Madama - possano chiarire ogni dettaglio del Piano. Da qui a martedì le delegazioni di 39 paesi africani e di 23 grandi istituzioni internazionali tra cui Banca Mondiale, Onu, Fao e un'Unione Europea rappresentata dalla presidente della Commissione Ursula Von der Leyen avranno appena il tempo di scambiarsi i rispettivi desiderata. Mentre il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, impegnata in un valzer di oltre 20 bilaterali, dovrà limitarsi a offrire le linee guida per una cooperazione nel campo di cinque macro aree scelte tra istruzione, energia, agricoltura e acqua, grandi infrastrutture e sicurezza. La vastità di questi argomenti basterebbe ad attirare sulla Meloni e Fabrizio Saggio, consigliere diplomatico della premier e demiurgo della Conferenza, l'accusa di megalomania.

In verità Saggio e la Meloni non si illudono che l'Italia possa cambiare da sola il destino di un continente di 54 nazioni e oltre 900 milioni di abitanti. La pretesa, assai più realista, è quella di scegliere paesi e aree in cui è giustificato un intervento di lungo periodo e realizzarlo focalizzando le problematiche che l'investimento si porta dietro. In questo contesto alcune ex-colonie come Etiopia e Somalia torneranno sicuramente centrali. Certo non potremo competere con Pechino per prestiti o grandi opere. Ma potremo farlo nell'educazione, nella cultura e nell'imprenditoria. Riaprire le scuole italiane, insegnare a chi ne esce a farsi imprenditore e professionista garantendo ai più promettenti l'accesso ad atenei e accademie militari italiane significa formare classi dirigenti amiche. E altrettanto irrinunciabile sarà l'impegno in un paese come il Mozambico dove la Comunità di Sant'Egidio ha garantito la pacificazione. Anche perchè Maputo è il cuore di una piattaforma energetica dove l'Eni avrà la meglio sui concorrenti solo in una cornice di collaborazione geopolitica ed economica vantaggiosa per entrambi. Ma non va sprecata nemmeno l'esperienza di gruppi come Avsi, Emergency o Medici con l'Africa che in questi anni hanno garantito la presenza italiana in Africa. Ancor più preziosa può essere l'esperienza di oltre 6mila missionari, in gran parte italiani, che hanno dedicato le loro vite alle ferite del Continente. Nel campo dell'istruzione e della formazione professionale un apporto fondamentale può arrivare dalle circa 180 comunità salesiane presenti in 42 dei 54 Stati africani. Almeno un centinaio di quelle comunità sono impegnate nella Formazione Professionale dei giovani. Rappresentano quindi strumento insostituibile per la selezione di una migrazione pronta a entrare nel nostro mondo del lavoro non salendo sui barconi, ma sfruttando i decreti flussi. Poi ci sono le nostre grandi aziende. In Africa la loro attività è inevitabilmente connessa con i grandi cambiamenti geopolitici e necessita di un attività diplomatica che le sostenga. Un caso di scuola è l'operazione messa a segno dall'ex- gruppo Salini-Impregilo, oggi Webuild, con la realizzazione, per conto di Addis Abeba, della «Grand Ethiopian Renaissance Dam» la Diga del Grande Rinascimento Etiopico. Lo sbarramento del Nilo azzurro, realizzato al costo di oltre 4 miliardi di dollari, è al centro di uno scontro geopolitico con l'Egitto che rischia di trasformarsi in autentica guerra. Per il Cairo la diga ridimensiona la portata del Nilo e minaccia quindi le forniture idriche. Per l'Etiopia è fondamentale per lo sviluppo di un paese da 120 milioni di abitanti dove solo la metà ha accesso all'elettricità. L'Italia, partner sia di Addis Abeba che del Cairo, in un caso del genere deve affiancare all'attività delle sue aziende anche mediazione diplomatica e assistenza per lo sviluppo. Ovvero garantire una fruttuosa mediazione con Addis Abeba per arrivare ad un equa ripartizione delle risorse idriche. E magari offrire una collaborazione in campo agricolo per sviluppare irrigazione e capacità produttive là dove il corso egiziano del Nilo si ritrovi impoverito. L'alternativa è ritrovarsi testimoni impotenti di fronte a prove di forza e guerre capaci di colpire i nostri interessi e generare nuovi flussi migratori. Ovviamente non possiamo illuderci di risolvere tutto con i 4 miliardi di euro messi a bilancio per i primi cinque/sette anni. Un patrocinio europeo al Piano Mattei sarà fondamentale e passerà probabilmente dalla riconferma, con i voti italiani, della von der Leyen alla Presidenza della Commissione. Ma gli orizzonti africani possano trovare una sponda anche dentro quel G7 di cui l'Italia assume quest'anno la presidenza. Anche perchè gli investimenti della «Partnership for Global Infrastructure and Investment» - il piano con cui gli Usa vogliono contrastare la Via della Seta cinese - si concentrano molto sull'Indo Pacifico e poco sull' Africa.

Il G7 sarà quindi la sede in cui trasformare il Piano Mattei in una strategia di contrapposizione a Pechino capace di aggregare i paesi europei meno interessati al fronte del Pacifico e molto di più a quello dell'Africa e del Mediterraneo

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