«Entrambe le parti hanno capito che ci saranno gravi conseguenze senza un accordo prima che Donald Trump entri alla Casa Bianca. Il tycoon è molto determinato a non permettere che arrivino più aiuti a Gaza a meno che gli ostaggi americani non vengano rilasciati». A scattare la fotografia della situazione dopo l'annuncio dell'intesa tra Israele e Hamas è Ian Bremmer, fondatore di Eurasia Group, la principale società di consulenza mondiale sui rischi geopolitici.
Hamas ha deciso all'ultimo minuto di avanzare nuove richieste riguardo al corridoio Filadelfia, questo può far deragliare l'accordo?
«Probabilmente no. Non è facile trattare con Hamas soprattutto perché i leader dell'organizzazione non sono quelli seduti al tavolo, ed è difficile comunicare fisicamente. Tutti gli altri parlano in tempo reale, poi la leadership di Hamas fa sapere che qualcosa si pensava avessero accettato rappresenta un problema. È un processo molto complicato, logisticamente. E Benjamin Netanyahu ha ottenuto risultati, incluso far accettare ad alcuni sostenitori della linea dura del suo governo. Non sono sorpreso ci stia volendo più del previsto, ma mi aspetto che andrà a buon fine».
Il presidente americano uscente Joe Biden e il presidente eletto Donald Trump rivendicano entrambi il merito dell'accordo. Quanto il tycoon ha cambiato le dinamiche dopo la sua elezione?
«Se Kamala Harris avesse vinto non credo che ora avremmo un accordo, ci sarebbe voluto di più. La tempistica e l'urgenza sono merito in gran parte di Trump e del suo inviato in Medio Oriente, Steve Witkoff, che ha partecipato direttamente alle trattative. È qualcosa di molto insolito, ma non unico. Lo abbiamo visto in qualche modo con gli ostaggi in Iran, Jimmy Carter e Ronald Reagan. Sicuramente Biden, il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il capo della Cia Bill Burns, il segretario di stato Antony Blinken, hanno lavorato duramente per un anno. Quindi anche se la tempistica è merito di Trump, non ci sarebbe un accordo da approvare senza il lavoro dell'amministrazione uscente. Legittimamente, il risultato deve essere condiviso. In ogni caso sarei attento a quanto merito vogliamo dare, abbiamo un accordo 42 giorni che probabilmente non porrà fine ai combattimenti, è una pausa».
Il premier israeliano ha detto che la guerra non è finita, quali sono i prossimi passi che si aspetta da lui?
«Netanyahu ha spiegato che si riservano il diritto di continuare a combattere dopo i 42 giorni. Il fatto che debba contare sull'estrema destra per il suo governo da' l'idea del perché non dice che è la fine dei combattimenti, ma una pausa».
Cosa significa l'accordo per il futuro di Hamas e il suo ruolo a Gaza?
«Non molto. Finché c'è un vuoto di potere continueranno ad esistere, ma non avranno legittimità. Nessuno è disposto ad accettare un accordo che permetta ad Hamas di giocare un ruolo nel governo, non accadrà mai dopo il 7 ottobre. Ma quando oltre un milione di persone sono sfollate, metà delle strutture a Gaza sono distrutte o danneggiate, non c'è sostentamento per questa gente, e molti di loro saranno più radicalizzati. Quindi se Hamas è un esercito, Israele l'ha ampiamente sconfitto, se è un'idea e un'ideologia radicale, una causa che il popolo sostiene, Israele l'ha rafforzata negli ultimi 15 mesi. E io credo sia un insieme delle due cose».
Cosa significa l'intesa per le prospettive di una pace più duratura?
«Diamo il benvenuto al rilascio di alcuni ostaggi e al fatto che per 42 giorni ci sia una pausa.
Se Trump è davvero interessato a garantire che non ci siano più combattimenti e tutti gli americani vengano lasciati andare, ci sarà una pressione aggiuntiva che può aiutare a spingere verso un cessate il fuoco più a lungo termine. Ma in questo momento gli israeliani sono quelli che possono decidere se ci saranno combattimenti o meno perché sono la potenza militare dominante».
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