Se Enea e Anchise rivivono nella foresta amazzonica

Il figlio porta sulle spalle il padre per farlo vaccinare. Viaggio lungo 12 ore degli ultimi indigeni

Se Enea e Anchise rivivono nella foresta amazzonica

Tawy non sa nulla di Enea e di Anchise. Non sa che il vecchio è storpio per aver amato Afrodite. Niente di tutto questo. Tawy ha ventiquattro anni e vive nell'angolo più remoto dell'Amazzonia nel nord del Parà, in un quadrilatero di foresta dove il Rio Cuminapanema e il Rio Erepecuru scorrono senza incontrarsi. Quello che sente è che deve andare e una mattina di gennaio, di un anno fa, ha allargato una coperta sulle sue spalle e ha detto al padre «vieni, sali, ti porto io». Sono andati lontano, verso la missione dove ci sono i camici bianchi, a piedi, sei ore per andare e altre sei per tornare. Tawy conosce il vaccino e sa che può proteggere il padre Wahu, sessantasette anni, che da tempo ha le gambe troppo deboli per camminare.

A svelare la storia è una foto, che il medico brasiliano Erik Jennings Simões ha diffuso solo adesso come simbolo della lotta contro la pandemia. È, come per Enea, il ritratto dell'amore di un figlio verso il padre, qualcosa che non ha tempo e confini, ancestrale, la parte più bella delle vicende umane. L'amore non è un peso. Tawy e Wahu appartengono a un popolo che ogni giorno rischia l'estinzione. È la tribù degli Zo'è, gli ultimi nativi dell'Amazzonia a incrociare il mondo globale. Sono rimasti poco più di 200 e vivono a un'ora e mezza di volo da Santarem. Tutti portano il Puturo, un cono di legno inserito tra le gengive e il labbro inferiore. È il segno che sono diventati adulti. È un simbolo di responsabilità. Zo'è vuol dire «Noi». Appartenenza. Gli altri sono quelli che sono arrivati circa quarant'anni fa e che li hanno prima incuriositi, poi spaventati e non gli hanno portato fortuna. Il primo indizio della loro esistenza risale ai primi anni Settanta, quando il governo comincia a costruire la Strada Perimetrale Nord per difendere le frontiere. Una spedizione di cartografi apre la strada, poi arrivano i missionari, che costruiscono una base e la chiamano Esperança. Il 5 novembre 1987 un centinaio di Zo'è si avvicina alla missione e cerca di capire con chi hanno a che fare. Non sono ostili, ma neppure si fidano più di tanto. I guai infatti cominciano presto. Dopo i missionari sono arrivati i cercatori di oro e diamanti, i coltivatori di soia americani e giapponesi, le industrie del legname. Il governo ha chiuso le porte, creando una riserva di 624mila ettari. Solo che era troppo tardi. L'incontro con gli «altri» ha portato le febbri, virus e batteri sconosciuti, un'epidemia dopo l'altra che li ha spinti al confine dello sterminio. «Temo i Danai anche quando portano i doni».

Tawi viene da lì, dal popolo dell'utopia, dove non ci sono

capi e nessuno batte il tempo, perché è una percezione personale, dove quello che sai del resto del mondo arriva per passaparola. È così che il figlio e il padre hanno saputo del Covid e di un vaccino per tenerlo lontano.

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