Con la complicità di Repubblica - sempre che si chiarisca se si tratti di reale intervista o di frutto di fantasia - Vanessa Marzullo, la stessa che insieme a Greta Ramelli fu catturata nel luglio scorso da una banda islamica e poi rilasciata dietro cospicuo riscatto, si è rifatta viva. Per gridare la sua «verità» dopo tante «palate di fango gratuite e stupide, veleni d'ogni tipo» (così sommariamente riassunti dall'intervistatore Paolo Berizzi: «dementi», «vispe terese», «paghino loro», «figlie di papà», «perditempo» e «odiose allusioni sessuali»). Non mi va più che la gente pensi ch'io sia sparita perché mi vergogno - dice all'incirca la Marzullo - aggiungendo che non prova imbarazzo per quello che in compagnia della Ramelli ha combinato in Siria. E che al contribuente è costato qualche milione (7?) di euri. Non prova imbarazzo perché lei, in Siria, si spese «per una causa nobile». «Assistenza umanitaria per aiutare il popolo siriano massacrato da una dittatura tremenda». E ancora: «Da quando siamo partite abbiamo avuto solo contatti con la popolazione civile, con le vittime della guerra. Il nostro aiuto era per i civile e basta».
Basta? Tra le più note fotografie che ritraggono Marzullo e Ramelli è quella scattata in piazza del Duomo a Milano poco prima che le due «cooperanti» - ma in verità «militanti», come vedremo - partissero per la loro missione. In quella immagine, le due, sorridenti e felici come pasque, dispiegano un cartello con una scritta in arabo. La cui traduzione è: «Agli eroi di Liwa Shuhada grazie per l'ospitalità e se Allah vuole vedremo la città di Idlib libera quando ritorneremo». Spiegazione: Idlib, una citta della Siria nord orientale, roccaforte dell'Esercito Libero Siriano, fu conquistata dopo cinque giorni di mattanze da una formazione islamista affiliata a Al Quaeda, il fronte Al Nusra. Liwa Shuhada al-Islam, che sta per «Brigata dell'Islam», è una banda terrorista nota per l'uso dei «cannoni infernali» (congegni che sparano bombole di gas unite a cariche di tritolo contro le abitazioni civili) che dopo quel fatto d'arme ha preso il nome di «Brigata dei martiri di Idlib». Scopo dichiarato, sbandierato della missione non era dunque quello di andare in soccorso della «popolazione civile vittime della guerra», ma di ricongiungersi con gli «eroi» della brigata jihadista. Non di assistere umanitariamente il «popolo siriano massacrato dalla dittatura», ma di fornire ai gruppi combattenti kit di primo soccorso.
La storia dei kit, negata dalla Marzullo nell'intervista, trova conferma oltre che nelle immagini «postate» su Facebook, in una intercettazione dei Ros (che già dall'aprile del 2014 tenevano sotto controllo Greta Ramelli): rivolgendosi a un militante islamista residente in Italia, il siriano Mohammed Yaser Tayeb, la Ramelli dà conto del buon fine della «nobile causa», l'«aver concordato con il leader della zona di Astargi (trascrizione fonetica di un luogo non identificato, ndr) di consegnare loro i kit di primo soccorso e che a loro volta li distribuiranno ai gruppi di combattenti». Combattenti.
È comprensibile che riproponendosi come cooperatrice umanitaria, pacifista e al servizio della popolazione civile su queste cose Vanessa Marzullo taccia. Ma che l'intervistatore se sia fatto complice della reticenza - su cose che Repubblica non può ignorare, visto il grande, libero&indipendente quotidiano che è - dà da pensare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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