L'ultima "vittima" è Giuseppe Conte da Volturara Appula che ieri ha esordito da leader nazionale virando dalle parti dell'ininfluenza politica. La storia dei leader sostenuti dal giustizialismo e passati presto agli archivi, però, non riguarda soltanto l'ex premier giallorosso. Si tratta di una costante che ha radici antiche. Bisogna tornare al post Tangentopoli. In principio, a ben pensare, era Antonio Di Pietro a poter vantare il sostegno di certo giornalismo e di un certo modo di concepire la Giustizia.
Un'intesa naturale costruita su corde ed argomentazioni comuni. Il Fatto Quotidiano e Marco Travaglio, in questo senso, sono stati protagonisti di un filone che continua. La parabola politica di uno dei magistrati simbolo, però, è terminata presto. Più o meno quando la formazione politica guidata dal molisano è stata inglobata dalle "piazze del vaffa". E l'Italia dei Valori è scomparsa dal piano nazionale, lasciando campo libero a un altro fenomeno giustizialista: il grillismo, che ora procede verso l'esalazione degli ultimi respiri elettorali. Questa della sconfitta è una costante che accompagna più personalità sostenute da quello che chiameremmo "travaglismo".
Lo ha notato il giornalista Antonello Piroso, che su Twitter ha scritto quanto segue: "#DiPietro? Affondato. #Ingroia? Affondato. #DeMagistris? Affondato. #GiuseppeConte? Affondato. #M5S? Affondato. Ahò, come giocano a battaglia navale al #fattoquotidiano di marcolino #Travaglio, nessuno". Il tema sollevato è l'endorsement, diretto o indiretto che sia, o comunque la costruzione di una narrativa di sostegno o di non opposizione. Seguendo la narrativa di Piroso, si potrebbe dire che il "Conticidio" è un'opera corale che passa pure per il "bacio della morte", osiamo, dei giustizialisti. Ma ieri non è stata soltanto la giornata del ridimensionamento teso alla scomparsa del MoVimento 5 Stelle. Quello targato leadership contiana, per intenderci. Pure l'ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha subito una batosta destinata ad essere registata negli annali delle esperienze che non hanno funzionato. Un altro "campione" che ha perso il duello sul campo, al netto dell'inchiostro speso.
Su Virginia Raggi e su quello che la "sindaca" ha rappresentato per Roma e per i romani conviene aprire un capitolo a parte. La questione è dibattuta, ma Travaglio non ha mai fatto mancare il suo sostegno all'ormai ex primo cittadino della Capitale. E questo forse pure perché la Raggi incarna il lato meno sistemico e meno governativo. Anche in questi tempi di pochette e mutazioni linguistiche alla contiana maniera. "La sindaca uscente si ferma vicino al 20 per cento, Calenda arriva al 18 (e tutti già lo coccolano per il secondo turno)", si legge questa mattina sulla pagina Facebook de il direttore de Il Fatto Quotidiano. Non è quello che raccontano gli ultimi dati, che invece danno l'ex primo cittadino di Roma quarta su quattro candidati. Una bocciatura che non ha appelli e che, considerando i numeri, non rientra neppure nel campo della performance eroica e resistente che il MoVimento 5 Stelle sta provando ad alimentare.
Non si tratta d'invdividuare un Re Mida al contrario, ma di fotografare quello che le statistiche raccontano. Giuseppe Conte, l'uomo della rinascita del grillismo secondo le più rosee aspettative, non ha apportato un granché alla Raggi, che era destinata alla sconfitta di suo, ma soprattutto non ha giocato un ruolo nelle vittorie della coalizione di centrosinistra a Milano, Napoli e Bologna, dove i tre neo-sindaci avrebbero comunque trionfato. A dirlo sono i numeri e qualche constatazione di buon senso.
Del resto, che il vento spirasse da un'altra parte rispetto al giustizialismo era cosa nota da qualche tempo, con i referendum sostenuti da Lega e Radicali che hanno galoppato sulle ali dell'entusiasmo per tutto il periodo che ha preceduto l'appuntamento elettorale.Ma questa dei leader della sinistra massimalista incoronati e poi crollati sotto i colpi del realismo è una vicenda radicata che oltrepassa il contemporaneo e rischia di divenire regola.
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