Selfie e tram: "safari" fra aspiranti modelle

Gilet in pelo, pantaloni di paillettes e video: così Milano diventa un set a cielo aperto

Selfie e tram: "safari" fra aspiranti modelle
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Grande è la confusione sotto il cielo... e anche per strada e a tavola. Alle quattro del pomeriggio di una giornata che già il meteo getta nel panico, ci mancano solo la settimana della moda milanese e i crampi allo stomaco di un sacco di fusi orari in contemporanea.

Il caldo umido, ma anche il vento fresco, le sfilate ma anche la vita normale, la merenda ma anche l'aperitivo, la fashion week ma anche «I would like to be a model», i nachos e gli anelli di cipolla fritta ma anche i macaron color pastello. Dal 19 al 25 settembre, a Milano, credeteci, si vedono cose che voi umani... L'inizio del sospetto di essere presi ostaggio degli alieni è la fine della sfilata di uno stilista cinese emergente. La nostra attenzione, per tutta la durata della passerella, avrebbe dovuto essere catturata, crediamo di aver capito, dalla direzione delle righe bianche sui suoi modelli: più larghe, meno larghe, più centrali, meno centrali. La performance «passa via» abbastanza in fretta, ma a show finito inizia il vero spettacolo che è sì tra il pubblico ma anche sparso per tutta la città. Il meteo, si diceva. La stagione contempla tutto: dalle canotte di cotone ai gilet di pelo, dagli anfibi alle «ciabattine» glamour completamente aperte. Il popolo della moda è ampio e ha più velleità dei portatori ufficiali di fashion. Pantaloni di pailettes e giacche da smoking si scontrano con mamme che spingono faticosamente i passeggini tra la fiumana incurante e le colf a fine servizio che aspettano l'autobus. Camminano e scattano selfie, si piantano in mezzo alla strada e si mettono in posa. È Instagram, bellezza. E tutti sono Chiara Ferragni.

Per le vie del Quadrilatero convivono un sacco di anime: le baby sitter che accompagnano le ragazzine alle visite per escludere la scogliosi, i manager sulle macchinine elettriche, il popolo (vero) dei tram e turisti di tutti i tipi. Strati di nazionalità diverse e fasce sociali diversissime che si riversano in contemporanea sotto la perplessa Madonnina in cima al Duomo. Giapponesi chiccosissime, americane piene d'entusiasmo e di griffe, valchirie bionde che acquistano calamite del Castello Sforzesco da attaccare al frigorifero della loro veranda in alluminio in Florida, la parte brutta della Florida. Micro coreane vestite fluo e con pelli trasparenti che usano i dissuasori di traffico come set fotografici: sbattono le ciglia, arricciano le labbra a cuore e guardano nello smart. Davanti al Piccolo Teatro c'è una ragazza di colore con un abito arancione lungo e croccante, scende dai tacchi e atterra in un paio di ciabatte di gomma da piscina. Bermuda e mocassini con la para, rombi di Ferrari e Segway, capelli ossigenati e bicchieri di caffè Starbucks «a portar via». Ogni tanto passa anche qualche modella vera e sembra di un'altra «specie». C'è uno che si infila nella minuscola via Del Gallo, si siede a terra in qualche modo, apre la scatola e indossa un paio di sneakers nuove fiammanti. Poco più in là, davanti al calendario delle sfilate piantato davanti alla Camera della Moda, c'è un gruppo di turiste di mezza età con le facce da campagna. Vengono dalla Romania, seguono la guida con la paletta alzata e sono in giro da ore. Hanno le espressioni sfinite e la circolazione bloccata all'altezza delle caviglie dai gambaletti color carne che spuntano da scarpe forellate da infermiera a fine turno. Non sanno se guardare Milano o chi l'ha presa in ostaggio. Hanno fame ma non osano approcciare uno dei tavolini presi d'assalto da tutti gli altri.

E passa un esercito di teste argentate montate su corpi vestiti in total black. Borse di tela con i nomi degli sponsor e cerotti sui talloni. Per continuare a incedere tutti insieme compatti verso non si sa dove e non si sa cosa, come le oche di Lorenz.

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