La prima volta che ci rivolgemmo a Corrado Sforza Fogliani, per noi sempre il Presidente anche ora che non c'è più, era 35 anni fa. Giovani liberali con tanta passione e pochi quattrini, avevamo bisogno di lui per farci pagare i volantini per quel poco di propaganda universitaria che si riusciva a fare. Era allora, e lo fu per molto, il presidente della Confedilizia, avvocato, imprenditore. Non ci pensò un secondo e tirò fuori dal suo portafoglio qualche biglietto da centomila lire. Pagava lui, di tasca sua: cash. E solo dopo aver contribuito si permise di dirci: «Ragazzi questi della pantera (movimento di lotta studentesca di allora, nda) proprio non mi convincono. È la solita roba: giovani ingannati dalla sinistra».
L'ultima volta che lo vidi fu per la festa dei settant'anni di Vittorio Sgarbi su un barcone sul Po. A due passi da Morgan e da quella Piacenza che amava con tutto il cuore. Saliva in barca e a più di ottant'anni si gettava nella mischia della politica per candidarsi a sindaco della sua città. Ma questa roba la trovate ovunque. Difficile piuttosto rendere rendere la sua passione per il pensiero liberale e per la sua terra. La sua passione per l'impegno, la sua eleganza nei rapporti e la sua gentilezza d'animo. Eppure era un combattente. Come lo sono i signori, sicuri delle proprie idee, ma sempre disponibili a confrontarsi. Sarebbe volgare definirlo un uomo di altri tempi, anche se la tentazione è forte: perché lo era nei modi e nelle conoscenze, ma non lo era nel continuo aggiornamento a cui si sottoponeva. Aveva affascinato tanti giovani liberali: immagino continuasse a farlo anche ora.
Quando da giovanissimi ci avvicinavamo al Presidente ne eravamo in soggezione, per la sua cultura, la sua parlata colta, per il suo ruolo. Quando lo abbiamo frequentato da maturi, ne coglievamo lo spirito polemico, la forza delle idee, la passione, sempre garbata, delle battaglie. Difendeva la proprietà immobiliare non perché ne fosse il massimo «sindacalista», ma perché aveva conosciuto Einaudi e capito la sua lezione; quando difendeva il ruolo delle banche popolari lo faceva non perché ne presiedesse una, ma perché amava il suo territorio. Era un maestro delle questioni fiscali, perché da presidente di una commissione tributaria, si era sporcato le mani nel contenzioso.
Sono passati solo pochi anni da quando si arrampicava con il sottoscritto sulla salita del Pordenone, la favolosa cupola di Santa Maria in Campagna, da cui si sente la storia di Piacenza e della cui ristrutturazione era orgoglioso come un bambino.
Sui temi legali era davvero preciso, puntuale, conosceva le norme come pochi. Non era facile passare la sua rubrica, qui sul Giornale, per i continui rimandi normativi a cui sottoponeva il lettore: ma questo era Corrado Sforza Fogliani.
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