Lo sfogo coi vecchi amici dc: "Sergio è incavolato nero"

Il fedelissimo Castagnetti: "Non avevo mai visto il presidente così arrabbiato"

Lo sfogo coi vecchi amici dc: "Sergio è incavolato nero"

Sono le 10 del mattino di ieri e in una Piazza Montecitorio deserta, mentre sul Colle si addensano le nubi di una crisi di governo senza soluzione, incontri Pierluigi Castagnetti, uno dei grandi amici del presidente Mattarella, nonché assiduo frequentatore del Palazzo del Quirinale. «Ieri sera ho parlato con il presidente - racconta - e l'ho trovato incavolato nero. Non l'ho mai visto così arrabbiato. Si lamenta perché la situazione non si è mossa di un millimetro. Tutti cristallizzati sulle loro posizioni. Qualcuno gli ha annunciato che Salvini e Berlusconi avrebbero rotto questa notte, e invece, a quanto pare, no. Né credo che si andrà a Marta Cartabia, della Consulta, per il governo di tregua. Pure la Severino, la vedo difficile come premier. Lui mi sembra orientato pure sul presidente del Senato, Casellati. È una carica istituzionale. Solo che i 5stelle, anche se l'hanno votata al Senato, ora pongono problemi».

La Casellati era uno dei possibili sbocchi di una trattativa che non ha una soluzione. Ma anche quel nome ieri è tramontato, vittima della strage dei candidati mai nati. Per il no di Di Maio: «Le cariche istituzionali restino al loro posto». E dello stesso Salvini, che ha posto il problema in uno dei tanti vertici del centrodestra che si sono susseguiti nelle ultime 48 ore. «Noi voteremmo contro l'ipotesi Casellati - ha fatto presente - perché potrebbe avere l'appoggio del Pd e diventare un governo politico». E infine di Mattarella che nell'incontro con la delegazione del centrodestra ha tratto le conclusioni: «Il presidente del Senato, eletto da una certa maggioranza, non può gestire le elezioni, potrebbe apparire di parte».

Così, complice il fatto che tra i requisiti del possibile premier richiesti dal capo dello Stato c'è pure la garanzia che non si presenti alle prossime elezioni, sono tornati in voga i nomi del segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti, di presidenti del Consiglio di Stato o della Corte costituzionale. Già ieri, la brusca accelerazione verso le elezioni ha bruciato molti nomi. Saltata l'ipotesi di mettere in piedi un governo 5stelle-Lega con un Silvio Berlusconi emarginato, Salvini e Di Maio, dopo l'ennesimo colloquio pomeridiano, hanno imboccato la strada del voto anticipato in tempi brevi. E infischiandosene delle prerogative del Capo dello Stato, relegato al ruolo di comparsa, hanno fissato addirittura la data dell'8 luglio per le urne. Una minaccia arrivata dopo che il capo dello Stato aveva mostrato una certa riluttanza a dare un preincarico a Salvini, nell'incontro con la delegazione del centro-destra al mattino. Un colloquio che non aveva portato a nulla.

Venti minuti di parole. Con Salvini che a nome del centrodestra aveva chiesto l'incarico di formare il governo per sé, e si era sentito rispondere dal capo dello Stato con il ragionamento di sempre: «Dimostratemi di avere i numeri. L'idea del governo di tregua, tecnico, nasce proprio da questa difficoltà e dall'esigenza di dare una risposta ai prossimi appuntamenti: Def, vertice europeo, legge di stabilità. Anche perché il governo Gentiloni, ancorché dimissionario, è espressione di una parte». Solo che il problema dei numeri posto da Mattarella sull'incarico a Salvini, non ha per nulla convinto il centrodestra. Tutt'altro. «Caro presidente - ha spiegato lo stesso Cavaliere - in Parlamento i numeri li troviamo. Ora che hanno ricevuto i primi stipendi ci sarà la fila di deputati e senatori che non vogliono tornare al voto, pronti ad appoggiare qualsiasi governo». Ancora più decisa la Meloni: «La proposta del governo tecnico, visto che non avrebbe né i voti di Forza Italia, né della Lega, né miei e né dei grillini, sulla carta ha meno voti di un ipotetico governo di centrodestra. Per cui...». Una discussione tra sordi, cadenzata dalle risposte «mute» di Mattarella, ancora più rigide dei no. E quel «per cui...» della Meloni, che sottolineava l'assenza di un argomentazione convincente del no di Mattarella a Salvini, come si è visto già dalle avvisaglie di ieri, potrebbe addirittura diventare uno degli argomenti della campagna elettorale del centrodestra. «Se ci risponde picche - aveva spiegato in una delle riunioni notturne Ignazio La Russa - potrebbe diventare il tema di una campagna contro di lui, come con Napolitano».

La verità è che il capo dello Stato è stato preso di contropiede, era convinto che sarebbe successo qualcosa nel centrodestra: o una rottura, o, a seconda delle possibilità, un Berlusconi soccombente o un Salvini addomesticato. Invece, ieri mattina ha verificato in prima persona, che Berlusconi, Salvini, la Meloni possono pure essere scuri in volto, ma sono uniti. Il Cav, nei due vertici che si erano susseguiti tra la sera di domenica e ieri mattina, non aveva ceduto di un millimetro. «Forza Italia o sta dentro, o sta fuori - si era infervorato nelle riunioni -: di appoggio esterno non se ne parla. È una questione di dignità». E a Giorgetti che insisteva spiegandogli: «Guarda che, mostrandoti generoso, riconquisti dignità»; il Cav ha addirittura risposto a muso duro: «Ma di quale dignità parli?! Io la mia dignità ce l'ho e non debbono certo darmela i 5stelle».

Proprio l'ostinazione con cui Berlusconi ha rifiutato un ruolo marginale, ha fatto saltare molti calcoli. Quelli di Di Maio. Quelli di Salvini. E, potrà apparire strano, anche quelli di Matteo Renzi, che sognava un'opposizione in solitaria contro un governo 5stelle-Lega con l'appoggio esterno di Forza Italia. «Secondo me Berlusconi sbaglia a dire di no» erano i suoi ragionamenti di ieri: «per non votare Di Maio accetterebbe nel governo anche la Carfagna o giù di lì. Ora Berlusconi rischia che se si va ad elezioni ad ottobre, Salvini lo uccida. Io, se fossi stato in lui, avrei fatto partire un governo. Ora, invece, si rischia di andare ad un governo tecnico, con Mattarella che si inventa un nome facendo scoppiare un casino generale».

Appunto, i Palazzi si aspettavano che anche questa volta Berlusconi togliesse le castagne dal fuoco a tutti.

Che ancora una volta accettasse di bruciarsi le mani come due legislature fa con il governo Monti; o, nella legislatura scorsa, con il governo di Enrico Letta e, in parte, con quelli di Matteo Renzi e di Gentiloni.

Questa volta, però, il Cav ha cambiato musica: o tutti si rimboccano le maniche, o non se ne fa nulla. Sbagliare è umano, perseverare diabolico.

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