«Genocidio», «Shoah» e «Olocausto» e sono tre esempi di parole o espressioni che ormai svolazzano iperleggere, sradicate, intercambiabili, svuotate di peso culturale e storico, voci qualsiasi in un parolaio senza chiaroscuri in cui è calata la comunicazione globale. Persino Liliana Segre, forse perché pressata dai giornalisti, l'altro giorno ha confuso l'unicità della Shoah e dell'Olocausto (i sei milioni di ebrei trucidati dalla Germania nazista) con la categoria storica del genocidio, inteso come volontà di distruggere fisicamente e completamente un gruppo etnico e di farlo sparire anche sotto il profilo culturale.
Fu un genocidio, per esempio, anche quello dei serbi contro i musulmani bosniaci, fu un genocidio quello del Ruanda, della Cambogia di Pol Pot, mentre incredibilmente, non lontano dall'Italia, c'è ancora chi pratica del negazionismo sul genocidio dei turchi contro gli armeni: il primo genocidio del Novecento, appunto, è stato quello degli armeni, quando nel 1915, in piena Guerra mondiale, la Turchia ne fece deportare un milione e mezzo nella lontana Anatolia, dove furono affamati, violentati, decapitati e impalati; stiamo parlando del quaranta per cento della popolazione armena massacrata nel corso di poche settimane.
Adolf Hitler, com'è accertato, prefigurò lo sterminio degli ebrei ispirandosi a quello degli armeni; in un suo celebre discorso del 22 agosto 1939 disse che nell'invadere la Polonia occorreva massacrare «uomini e donne e bambini» senza preoccuparsi di conseguenze future: del resto, si chiese, «chi si ricorda, oggi, dei massacri degli armeni?».
Ottima domanda che, anche a livello storico, ha talvolta prodotto un penosissimo conflitto tra genocidi. Il genocidio degli armeni manca dai libri di scuola turchi, ovviamente, ma anche da quelli tedeschi: questioni diplomatiche. Il quotidiano tedesco Die Welt diede notizia che il Brandeburgo aveva deciso di eliminare ogni riferimento ai massacri ottomani ed era rimasto l'ultimo stato tedesco a parlarne in un testo scolastico; secondo Die Welt, era la conseguenza di pressioni esercitate da Ankara. Non meno triste che il negazionismo turco, a lungo, sia andato a braccetto con quella parte del mondo ebraico ben decisa a sostenere l'unicità dell'Olocausto: Elie Wiesel e le più importanti organizzazioni ebraiche si ritirarono da un convegno internazionale giacché i suoi organizzatori avevano incluso anche il caso armeno nel programma. Nel gigantesco Holocaust Memorial di Washington, per pressioni turche e israeliane, ogni riferimento agli armeni era stato eliminato. Ma c'è anche un'altra realtà, per fortuna: ci sono studi e seminari anche israeliani dove i genocidi non vengono messi in contrapposizione bensì analizzati in parallelo; il vice-ministro degli esteri israeliano Iosi Beilli, in Parlamento, nel 1994, affermò che lo sterminio degli armeni era stato un genocidio punto e basta. In Italia, in compenso, abbiamo avuto l'Unità: nell'ottobre 2006 si scagliò contro la legge francese che tutelava gli armeni in quanto «finisce per relativizzare l'unicità dell'Olocausto». Ancora nell'aprile 2015, una conosciuta giornalista dell''Huffington Post raccontò il governo Renzi aveva preteso di eliminare la parola «genocidio» da una rassegna culturale dedicata al popolo armeno: il titolo della rassegna, fissato a fine dicembre 2015, era «Armenia, a cento anni dal genocidio (1915-2015)», ma divenne «Armenia: metamorfosi tra memoria e identità». Una professoressa della Sapienza disse che «la Turchia è nella Nato e non avrebbe gradito, questo ci hanno spiegato».
L'espressione «genocidio» fu coniata nel 1946 durante il processo di Norimberga, e a voler elencarli tutti, i genocidi, c'è solo il rischio di dimenticarne qualcuno.
Oltre ad armeni ed ebrei e zingari e sinti, sempre dimenticati, anche se condivisero l'Olocausto in Cina ci fu la rivolta dei Boxer, i 48 milioni di cinesi caduti sotto il regime di Mao, i 20 milioni i russi eliminati durante il terrore staliniano, il milione di comunisti indonesiani eliminati dal governo tra il 1974 e il 1999, il milione di cambogiani stramazzati sotto il regime di Pol Pot, poi i genocidi africani in Sudan, Rwanda, Burundi, quelli del sudamerica col milione di desaparecidos delle dittature militari, senza dimenticare i curdi e gli iracheni (tra cui 560 mila bambini) morti per la politica di Saddam Hussein. Si parla sempre di «memoria» e di «non dimenticare», ma il rischio, per i più, è non aver neppure mai saputo.
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