Siri già domani dal premier Dimissioni sempre più vicine

Conte riceverà il sottosegretario, ma dalle sue parole il verdetto appare scontato: gli chiederà di lasciare

Siri già domani dal premier Dimissioni sempre più vicine

Non è un governo, ma un patto di potere, lo si era capito da tempo. Volto a far crescere i due «capi», nonché a ingrossare le fila di clienti ed elettori: motivo per il quale resterà deluso chi spera in una crisi a breve. Inevitabile, però, che ogni elezione provochi lo sconquasso cui si assiste, a danno degli italiani. Non a caso il premier Conte, conversando con gli inviati in Cina, ha sospirato: «Meno male che questa è l'ultima campagna elettorale... Dopo il 26 maggio il clima deve cambiare. Cambierà per forza».

Già. Ma già da adesso il «caso Siri» ha determinato un cambio di pesi e di scenario, con l'assalto grillino al sottosegretario leghista indagato. Il quale già domani, al ritorno di Conte dalla Cina, potrebbe essere convocato a Palazzo Chigi per i chiarimenti richiesti da premier. Tutto lascia pensare che da quel colloquio uscirà senatore «semplice», magari «per senso di responsabilità». Ne fa testo una certa disinvoltura con la quale Conte parla del caso, che non si può tutta ascrivere a sgrammaticature istituzionali. Mai s'era sentito un presidente del Consiglio dire, di un componente del proprio governo, «troverò il modo di scollarlo dalla poltrona». Segno che qualcosa, nonostante non ci siano contatti ufficiali tra i due vicepremier, si è già mosso e il leader leghista Salvini sta per accettare il «sacrificio» di uno dei collaboratori a lui più vicini. E se il premier ha spiegato pure di «aver visto poco delle carte», l'ultima delle sue considerazioni fa ancor di più riflettere: «Certamente lo sfondo della mafia è un elemento di cui terrò conto...». L'insistenza sulle accuse e i sospetti di contiguità mafiosa che i 5stelle riservano in queste ore ai leghisti, fa capire che il tema non sarà lasciato cadere tanto facilmente. Anche perché nel frattempo si è aggiunta un'inchiesta dell'Espresso sull'utilizzo di 3 dei 49 milioni di finanziamento pubblico alla Lega spariti («scandalo inesistente, fantasie», ha reagito Salvini), nonché il tentativo del Pd di unirsi a M5s nel cavalcare l'attacco mediatico al Carroccio: ieri ha avanzato la proposta di chiamare Salvini in Antimafia per chiarire « presunti legami con organizzazioni mafiose».

Soprattutto, ci si è messo il caso del «fuoco amico» di Bobo Maroni che ha indicato nel sottosegretario Giancarlo Giorgetti l'«anello debole» di tutta la vicenda Siri, in virtù dell'assunzione del figlio di Arata, Federico come consulente. Ora, un conto sarà convincere Siri a fare un passo indietro, un altro è toccare un architrave del governo gialloverde come il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Forse vendetta interna, forse «avvertimento» assai più grave, specie per la fonte che l'ha lanciato. Giorgetti ieri si è tenuto «basso». «Maroni gufa un po' - ha dichiarato alla Stampa -, cerca di rientrare in gioco... Non credo proprio di essere un problema per il governo».

Per i 5s, comunque un invito a nozze: «Visto che Maroni indica il braccio destro di Salvini, Giorgetti, come il vero problema, allora gli chiediamo di andare in Procura, se sa qualcosa. Depositi tutto dai magistrati...». Tra dossier, sospetti e veleni, la guerra si farà «chimica».

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