La Siria incendia lo scontro Israele-Turchia. Il rischio ora è quello del conflitto diretto

Erdogan, vicino ad Hamas, vuole un protettorato turco. Tel Aviv ha occupato il Golan ed è pronta a intervenire

La Siria incendia lo scontro Israele-Turchia. Il rischio ora è quello del conflitto diretto
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Da una parte l'inferno di Gaza riapertosi con ancor più violenza. Dall'altra l'intrico libanese pronto a sfociare in una nuova guerra tra Hezbollah e Israele. E sullo sfondo il fantasma di uno scontro ancor più devastante. Per molti osservatori le bombe israeliane cadute venerdì notte sulle postazioni siriane di Palmira e, ieri mattina, sulla cittadina di Najha, appena fuori Damasco, rappresentano il prologo di un possibile confronto diretto tra Turchia e Israele, ovvero tra i due eserciti più rodati e meglio armati del Medio Oriente. Dietro il nuovo incubo vi sono fatti ed elementi assai concreti.

Il più allarmante è la trasformazione della Siria in una provincia turca. La caduta di Bashar Al Assad e la trionfale marcia su Damasco di Ahmed al-Sharaa - il terrorista che con lo pseudonimo di Al Jolani guidava la fazione siriana di Al Qaida - altro non è stata se non una brillante operazione dei servizi segreti di Ankara. Ma l'azzardo peggiore di quell'operazione non è stata la trasformazione di un terrorista in capo di stato quanto la creazione di un confine comune tra la Turchia di un Recep Tayyp Erdogan assai vicino ad Hamas e un Israele determinato, nelle intenzioni di Bibi Netanyahu, a cancellare Hamas dalla faccia della terra. Politicamente e ideologicamente il problema non è di poco conto. Se Hamas nasce da una costola della Fratellanza Musulmana l'«islam politico» professato da Recep Tayyp Erdogan è il retaggio della passata (e forse anche attuale) militanza del presidente turco nella stessa Fratellanza. I rischi geopolitici connessi al nuovo corso siriano sono elencati nella relazione della Commissione Nagel, incaricata di analizzare il prossimo bilancio della Difesa israeliano. «In Siria Israele potrebbe affrontare una nuova minaccia - sottolinea la relazione consegnata a Netanyahu ai primi di gennaio - la presenza di forze turche o di gruppi alleati può aggravare il rischio di un confronto diretto tra Turchia ed Israele. Va considerato - conclude la relazione - che l'entrata della Turchia in Siria può portare a un riarmo relativamente veloce della Siria».

In tutto questo Israele non è stata a guardare. Grazie all'occupazione della zona del Golan, presidiata un tempo dalle forze dell'Onu, Tsahal ha posizionato i suoi carri armati a meno di un'ora da Damasco. Nel frattempo la sua aviazione ha distrutto le principali infrastrutture militari abbandonate dall'esercito di Bashar Assad. Neanche la Turchia, però, è stata con le mani in mano. Il 4 febbraio Erdogan ha accolto Ahmed al-Sharaa nel palazzo presidenziale di Ankara sottoponendogli un accordo di difesa comune che prevede l'addestramento dell'esercito di Damasco e la costruzione di due basi aeree turche in territorio siriano.

In Siria insomma l'esercito di Erdogan sembra pronto a «mettere gli scarponi sul terreno». Da questo punto di vista i precedenti di Erdogan, sempre nel mirino della piazza dopo l'arresto del sindaco di Istanbul Imamoglu interrogato ieri tra le proteste, non sono certo incoraggianti. Negli ultimi anni il presidente turco non ha esitato ad intervenire in Libia per difendere il governo di Tripoli e ad appoggiare le offensive azere nel Nagorno Karabakh.

Anche per questo la trasformazione della Siria in una provincia di Ankara rende assai concreto l'incubo di un conflitto turco-israeliano innescato da quella guerra di Gaza che, fin qui, neppure Donald Trump ha saputo fermare.

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