Israele combatte con una mano legata dietro la schiena: tutti gli israeliani, di destra e di sinistra, dopo il 7 ottobre, sentono di combattere una guerra di sopravvivenza. Vorrebbero che lo sentisse anche il vecchio amico americano, dall'inizio il più fedele, ma non è facile per Biden: l'opinione pubblica mondiale, e forse anche il suo elettorato, stanno dimenticando il senso del conflitto. Si dice spesso in guerra, come ha detto ieri Netnayahu, parlando con gli strumenti gracchianti dei soldati dentro Gaza: «Continueremo fino alla vittoria, nonostante le pressioni internazionali». Ma ieri questa frase, ormai controversa fuori da Gerusalemme, ha suonato come una doppia promessa: la prima quella di non piegarsi di fronte a una guerra difficilissima, che ieri ha fatto altri dieci soldati caduti, cinque delle mitica unità Golani, fra cui due comandanti. La seconda promessa, fronteggiare la vasta critica internazionale che sale dalle Nazioni Unite che, ignorando il pericolo vitale per Israele, in maggioranza hanno votato per il cessate il fuoco; e barcamenarsi di fronte alle ultime dichiarazioni di Joe Biden, che ha mandato martedì avvertimenti molto severi, parlando di «bombardamenti indiscriminati» e del rischio che «questo governo renda a Israele molto difficile muoversi».
Ieri tutta Israele stupefatta piangeva di fronte alla strage di Sujaya, dove una parte dei soldati procedendo in un vicolo è caduta in una trappola. Feriti da terroristi usciti da una gallerie e edifici sono stati soccorsi dai compagni corsi eroicamente in loro aiuto: tutti sono caduti fra trappole esplosive e cecchini. Israele discute mentre piange: si chiede perché il territorio in cui si sapeva che si dovevano cercare gli uomini di Sinwar, ancora molti nonostante gli arresti, e forse gli ostaggi non era stato spianato per l'operazione. L'esercito ha addosso gli occhi di tutto il mondo mentre si batte su un terreno da cui spuntano i terroristi dalle gallerie e dagli edifici pubblici che Hamas ha fatto perché i cittadini diventino scudi umani. Hamas spara missili su Tel Aviv e Israele non ha il permesso di fermarli. Tomer Grinberg, 35 anni, solo qualche giorno fa nell'ultima intervista raccontava di come aveva salvato due bambini piccoli, fra gli altri, in un'eroica impresa di scontro personale coi terroristi nei kibbutz: «Li ho portati fuori dicendogli di appoggiarmi il viso sulle spalle per non vedere l'orrore, e mi hanno sorriso attraversando la strage. Ho pensato alla mia bambina, e sono dentro Gaza per difenderla».
Biden ha due punti centrali che deve presentare agli elettori ormai molto preoccupati dalla sofferenza dei palestinesi dentro Gaza: Hamas deve essere eliminato, spiega, ma vuole che Bibi, come lo chiama, si impegni nell'aiuto umanitario e coinvolga meno i civili. Israele ci prova con i corridoi e le tregue umanitarie, i camion di aiuti gli avvertimenti prima delle bombe e le zone di rifugio. Ma Biden vuole garanzie storiche sullo scopo finale della scelta americana: riaprire la strada alla soluzione dei «due Stati, due popoli». Bibi è duro su questo, non intende impegnarsi su chi sostiene il terrorismo e non ha mai riconosciuto lo Stato d'Israele.
Biden forse corre troppo. Meglio per ora sperare in una compartecipazione del mondo arabo che ha scelto la pace con Israele. Batte un colpo il leader di Hamas Ismail Haniyeh: qualsiasi accordo a Gaza senza Hamas è un'«illusione».
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