Milano. Si chiama A. A., ha origini marocchine e un'età che oscilla tra i venti e trent'anni. Era già morto da un po' quando ieri di prima mattina lo hanno abbandonato seminudo in una piazzola di sosta ai bordi della statale 336, ai margini della strada che conduce all'aeroporto di Malpensa (l'hub si trova proprio a pochi chilometri) nel territorio del comune di Vanzaghello, nell'alto milanese e al confine con la provincia di Varese. Un cadavere a torso nudo, martoriato da botte e torture il suo. Un corpo senza vita notato da alcuni automobilisti di passaggio poco dopo le 6 e subito segnalato da diverse chiamate giunte al 112. La prima è stata quella di un camionista che si è fermato ed è sceso dal suo mezzo per vedere se quello sconosciuto a terra, sul quale era stato abbandonato un pile, fosse ancora vivo.
Sul posto, oltre agli investigatori del commissariato di Busto Arsizio (Va) e a quelli della squadra mobile di Varese, sono arrivate la polizia stradale di Magenta e quella di Varese, ma anche la polizia Scientifica di Milano che si è occupata dei rilievi; ora il caso è nelle mani della procura di Busto.
Il medico legale non ha avuto dubbi: il giovane è stato ucciso, forse investito da una vettura e non si esclude più di una volta. Prima però i suoi assassini lo hanno massacrato di botte. E dopo avergli spezzato entrambe le gambe e avergli rotto la mandibola, gli hanno spento dei mozziconi di sigaretta sul volto che al momento del ritrovamento si presentava come una maschera di tumefazioni in un primo tempo scambiate per lesioni dermatologiche.
La zona del ritrovamento del cadavere, tra i boschetti di Lonate Pozzolo e Vanzaghello, è conosciuta dagli investigatori perché frequentata da tossicodipendenti e spacciatori. E secondo il procuratore capo di Busto Arsizio Carlo Nocerino il terribile omicidio sarebbe maturato proprio in quell'ambiente, quello del controllo e dello spaccio di droga. Inoltre, sempre per la Procura, c'è molto più di qualche probabilità che l'assassinio di ieri mattina sia legato, come una sorta di «spedizione punitiva», a quello del 2 aprile scorso, commesso nel bosco del Rugareto, a Rescaldina (Milano) che dista poco meno di 25 chilometri da Vanzaghello. Ovvero l'uccisione di Bouda Ouadia, il marocchino di 24 anni finito con un colpo di pistola alla testa mentre tentava di fuggire durante una vera e propria sparatoria nel pomeriggio del 2 aprile, sempre per ragioni legate allo spaccio: secondo i carabinieri la vittima quel giorno non era il solo obiettivo dell'agguato. Forse faceva il palo, la sentinella, lungo un sentiero usato dai clienti per raggiungere il punto di spaccio gestito dai marocchini.
Quella di ieri sarebbe quindi una vendetta maturata nel mondo dei piccoli pusher e dei grandi scontri tra gruppi criminali che controllano i boschi? Per il momento è questa l'ipotesi investigativa più accreditata. Da una prima analisi del cadavere inoltre sarebbe emerso che chi ha pestato il ragazzo nordafricano di Vanzaghello non lo ha fatto con il proposito di dargli una lezione, ma con la volontà precisa di uccidere.
Lo scenario in cui si muovono le indagini è lo stesso degli altri delitti avvenuti tra Milano e il Varesotto negli ultimi anni. Nel gennaio 2019 fa un senegalese di 54 anni era stato ammazzato a colpi di pistola.
Il suo assassino, - condannato in contumacia a 25 anni - s'è rifugiato in Marocco dov'è ancora libero. Sempre tre anni fa ma a settembre un marocchino di 30 anni venne gambizzato con una fucilata proprio tra Rescaldina e Cislago (Va). Il movente? Ancora una volta lo spaccio di droga.
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