Lo scontro sui balneari è all'ultima spiaggia. Da almeno 15 anni tutti i governi traccheggiano sull'applicazione della direttiva Bolkestein, (la 123 del 2006, approvata in Italia solo nel 2017) perché nessuno sa come mettere a gara al miglior offerente le 7.244 concessioni sulle nostre spiagge con procedure pubbliche, trasparenti e imparziali, in linea con il calpestato Codice della Navigazione del 1942 e senza danneggiare chi ci ha investito, senza gravare sugli utenti, senza mettere in mezzo alla strada i 60mila addetti del comparto - di cui 43mila stagionali - e senza consegnare alle voraci e ricche manine straniere, in particolare, un comparto che genera due miliardi di Pil.
Il cerino è rimasto al centrodestra, che le ha prolungate fino al 31 dicembre 2024, una scadenza funzionale allo svolgimento della gara. «Vogliamo stabilire un quadro giuridico certo in uno dei prossimi Consigli dei ministri», dice Palazzo Chigi tra le risatine della sinistra, che in questi anni ha largamente traccheggiato sul tema, ma tant'è. «C'è un confronto in atto sul parere Ue, con le sue complessità», ha ribadito ieri il ministro per Affari Ue, Sud e Pnrr Raffaele Fitto.
Domani ci sarà lo sciopero di due ore degli ombrelloni. Assobalneari Confindustria teme che le gare possano dare le spiagge «in pasto all'Europa», Confapi chiede di «garantire la continuità aziendale degli stabilimenti», spesso a conduzione familiare, al 94% sotto i 10mila metri quadri di grandezza. Di certo, rispetto al fatturato che generano, i prezzi del canone - 2,78 euro al metro quadro, nel 2024 il minimo è calato del 4,5%, a 3.225,50 euro - sono risibili. Lo Stato incassa due noccioline (neanche 100 milioni) rispetto ai 2 miliardi di Pil dichiarato dai gestori. Finora le concessioni sono state prorogate senza gara, in nome del «diritto di insistenza» e del rinnovo automatico ogni sei anni, introdotto nel 1992. Il conflitto tra la legge italiana e quella Ue va avanti dal 2009, anno della prima di tante procedure d'infrazione: la successiva abrogazione del «diritto di insistenza» e del tacito rinnovo non è servito, anche perché nel 2018 le concessioni vennero prolungate al 2033. Le doglianze Ue sono state ignorate anche dal governo di Giuseppe Conte, eppure Pd e M5s oggi sbraitano mentre il verde Angelo Bonelli invoca persino la rivolta dei bagnanti e l'occupazione degli stabilimenti «con i loro ombrelloni e i loro asciugamani» (poi ti chiedi perché ha candidato Ilaria Salis...). «Tra proroghe, mappature pretestuose, bugie siamo al punto di partenza», lamenta la renziana Raffaella Paita.
Ormai non c'è Tar che tenga dopo gli ultimi verdetti di Antitrust, Consiglio di Stato e Corte di Giustizia Ue. «Non intravedo soluzioni giudiziarie che possano aprire la strada a nuove proroghe, sono tutte illegittime e devono essere disapplicate dalle amministrazioni», dice al Giornale Antonio Ditto, esperto di concorrenza e partner societari della milanese VDavvocati. L'idea del premier Giorgia Meloni è che le spiagge non siano una risorsa «scarsa» (tanto da aver aumentato di circa 2.200 km la lunghezza delle coste rispetto ai vecchi calcoli Istat a quota 11.173 km anziché 8.970) e che quindi le direttive concorrenziali europee valgano solo in caso di scarsità delle risorse naturali, tanto che le spiagge libere sarebbero due su tre. Un dato che la commissione Ue contesta perché terrebbe conto anche delle aree indisponibili dove insistono porti, impianti petroliferi o aree marine protette, militari, inaccessibili o secretate. Per Legambiente quelle concesse sarebbero il 43%, con punte del 70% in Emilia-Romagna (su cui ne insistono 1.052, il 15% degli stabilimenti italiani) o Liguria (797) e del 90% in località come Pietrasanta e Camaiore a Lucca o Laigueglia a Savona, mentre al Sud Italia il fenomeno è esploso: uno stabilimento su due è nato dopo il 2010. «Se la Ue non si fida dei nostri calcoli, venga qui a misurare le coste.
Se ci obbligherà ad andare a gara, chiederemo che venga data una prelazione ai concessionari uscenti, come in Portogallo», ribadisce il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio della Lega, che vorrebbe mettere la sabbia negli ingranaggi della Bolkestein. Fuori tempo massimo.
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